Non credo possano esserci dubbi: il vincitore degli Oscar 2017 è Donald Trump.
Pensiamoci: per mesi e mesi, prima e dopo la sua elezione, Hollywood, compatta, ha prodotto uno straordinario sforzo per deriderlo, insultarlo, dipingerlo a tinte fosche, assicurando nel contempo gli americani - e il resto del mondo - che il summenzionato era nel migliore dei casi un inetto e nel peggiore un lestofante (oltre che un immaturo molestatore di donne).
Attori, registi, produttori, scrittori: personaggi che sprizzano intelligenza, fascino, personalità. Gente abituata al palcoscenico internazionale, manager che parlano sei lingue, stelle che vantano fans in ogni angolo del mondo. Da domenica, anche quelli che non sanno mettere un biglietto in una busta senza combinare una catastrofe ridicola.
Bella rivincita per Trump, ma anche un capitolo tutto nuovo nel Grande Libro delle Gaffe e, dunque, non tutto viene per nuocere. Riconosciuto il fatto che essere protagonisti di una gaffe è un’esperienza davvero seccante, che apre ferite dure a rimarginarsi, l’incidente in sé, considerato sotto il profilo psicologico e, se vogliamo, sociologico, è spesso illuminante.
Prendete Dan Quayle, vicepresidente degli Stati Uniti dal 1989 al 1993, autore di una dichiarazione memorabile: «Di recente ho visitato l’America Latina. Mi dispiace soltanto di non aver studiato meglio il latino: avrei potuto parlare di più con la gente». O il leggendario Philip, Duca di Edimburgo e consorte di Elisabetta II: «Ho visitato una mostra di arte africana. C’erano esposte cose che sembravano provenire dalla classe d’arte di mia figlia».
La più bella definizione di gaffe è forse dovuta al giornalista Michael Kinsley: «Una gaffe è quando un politico per sbaglio dice la verità». Dal che si deduce che Trump, oltre ad aver vinto l’Oscar, ancora non ha commesso gaffe.
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