Dedicandosi l'umanità allo sport nazionale, se così si può dire, del dividersi il più possibile in categorie storiche, ideologiche, sociali e razziali non stupisce che ci sia chi va cercandone sempre di nuove. Destra, sinistra, bianchi, neri, conservatori, progressisti, atei, credenti: in quanto a divergenze i gusti disponibili sono infiniti. Non sono un appassionato di conflitti ma bisogna ammettere che essi rivelano molto dell'animo umano. Alcune differenze, addirittura, arrivano talmente nel profondo da superare, o quasi, le infrastrutture culturali.
Un tale Jeffrey Israel, docente universitario specializzato in Storia, propone una nuova, possibile separazione tra umani: quella tra passatisti, futuristi e presentisti. Diconsi passatisti, secondo Israel, coloro i quali si struggono in una romantica idealizzazione di un'epoca storica: “Quando c'era Lui...”, “Addavenì Baffone...”, “I Romani sì che sapevano vivere...”. Aggregandosi, riescono sporadicamente a riportarla al presente. I futuristi - e qui non c'entrano né Marinetti né Fini - coltivano invece un'utopistica visione di ciò che ancora non è ma dovrà essere: a loro si deve l'applicazione di certi dolorosi esperimenti sociali.
Infine, più interessanti, i presentisti. Secondo Israel, costituiscono la maggioranza della popolazione nei Paesi occidentali. In equilibrio sulla lama di un presente che appena esce dal futuro diventa già passato, essi si sforzano di rendere eterno l'attuale mediante la ripetizione. E' grazie a loro se le giornate di tanti si svolgono oggi secondo un immutabile rituale sociale e da esso raramente deviano. Nello strenuo sforzo di assicurare la ripetizione, i presentisti si oppongono a ogni cambiamento. Sono, si potrebbe dire, i miti paladini della quotidianità: fermando il mondo, lo mandano avanti.
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