Sarà forse una sensazione tutta mia ma, quest’anno, il freddo sembra averci preso di sorpresa. Ha cercato la complicità dell’estate, si è mescolato a certe malinconiche dolcezze dell’autunno, ha prodotto il paravento di un cielo azzurro - quello di ieri era straordinario - e, zac!, ha colpito duro. Durissimo.
Passeggiando per il centro ho incontrato gente che ancora sembrava poco convinta di portare abiti invernali: alcuni indossavano il piumino con un’espressione di incredulità sul volto e, avvolgendosi nella sciarpa, tenevano una mano pronta a strapparsela come se, finito lo scherzo invernale, l’estate potesse di colpo tornare a pulsare in tutto il suo sanguigno calore.
Naturalmente, nella realtà nulla di tutto questo è vero. Le temperature - come direbbe un bravo e rassicurante meteorologo - sono “di stagione” e noi tutti saremmo tenuti ad adeguarci a questo implacabile orologio climatico. Non vorrei sembrare insofferente o incontentabile, ma ci sono momenti in cui di queste stagioni da calendario, istituzionali, astronomiche, agricole, noi francamente non sappiamo che cosa farcene.
Bello sarebbe se, almeno per un anno, il cima seguisse non le ragioni, non le intermittenze, ma le stagioni del cuore. E non credo che ciò significherebbe fissare la temperatura esterna sui venti o ventidue gradi, come si fa nel condominio o negli uffici: le temperature del cuore sono variabili quanto quelle del mondo atmosferico, ma molto meno matematiche. Sono temperature che si possono impostare a richiesta, quasi a capriccio: tepori indotti per sciogliere un sentimento malinconico, difficile da digerire; oppure improvvise gelate, richiamate giusto per assaporare l’aria fresca di neve, per annusare quel ghiaccio vagamente metallico eppure tanto puro e rivitalizzante.
Noi tutti, credo, abbiamo questo termometro interno, questo climatizzatore dei sentimenti, che però, purtroppo, non risulta sia collegato con il resto del mondo. È questo che a volte ci rende così freddi, anche quando è caldo.
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