Prima di incominciare, ringraziamo insieme tutti quei ricercatori che, in ogni parte del mondo, offrono a questa rubrica spunti inestimabili. Senza di loro, nulla di tutto questo esisterebbe. Il nostro pensiero si rivolga ora, con altrettanta gratitudine, agli studiosi giapponesi che hanno prodotto l'analisi di cui ci occuperemo oggi.
Lo studio che andremo a esaminare parte da una domanda legittima: quando ascoltiamo una canzone che ha un testo triste ma una melodia allegra, come ci sentiamo: tristi o allegri? Troverete forse la questione sciocca e trascurabile: dopo tutto, non ci sono molte canzoni tessute con parole desolanti e musica scoppiettante. Non è del tutto vero. Forse non saranno molto comuni, ma canzoni del genere esistono eccome e si possono perfino citare esempi celebri, come "Hello, goodbye" dei Beatles. Ma il punto è un altro. La domanda che si sono posti ricercatori giapponesi supera le canzoni e intende stabilire se a incidere sul nostro umore siano più le parole, con il loro significato razionale, o la musica, con la sua capacità di scavalcare la ragione e di rivolgersi direttamente all'inconscio.
Forse avrete già immaginato la risposta. La musica batte nettamente le parole. Parole malinconiche innestate su uno spartito allegro vengono in qualche modo neutralizzate nel loro significato: ciò che resta, nello spirito dell'ascoltatore, è il divertimento della melodia e non lo strazio del testo. Un'osservazione davvero interessante e rivelatrice: la ricerca giapponese, infatti, aggiunge fascino e prestigio al misterioso potere della musica. Non resta che chiedersi se la scoperta possa ora trovare applicazioni pratiche. Non credo ci siano dubbi e mi sento di prevedere che, a breve, i governi, invece di conferenze stampa, terranno concerti e produrranno dischi. In testa alla classifica, tra qualche mese: "Il Pil cala e la disoccupazione aumenta", foxtrot, allegro andantino con brio.
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