Pronti al decollo?

Leggo delle vicende di Alitalia con l’interesse, passivo ma non per questo meno attento, del passeggero e non certo del businessman, e mi dico: «Forse, alle sorti della compagnia aerea nazionale potrebbe essere utile far volare, di tanto in tanto, qualche aeroplano».

Non mi vanto di essere un “frequent flyer” alla Clooney di “Tra le nuvole”, con la carta-miglia in fibra di carbonio ma, insomma, qualche volo in un anno mi capita di prenderlo e, purtroppo, non mi è necessario un gran spirito d’osservazione per notare che mai l’Alitalia entra nel novero delle compagnie alle quali potrei affidarmi. Eppure non è che le mie destinazioni siano particolarmente esotiche o difficili e le mie esigenze in fatto di tariffe eccessivamente restrittive o, al contrario, assurdamente pretenziose. Mi dispiace davvero molto dirlo e considero questa osservazione pertinente solo a me stesso ma, da anni, l’Alitalia per il sottoscritto ha ben poco da offrire.

Capisco che l’orgoglio nazionale ne esca un po’ strapazzato alla notizia che Air France consideri il valore della sua quota azionaria pari a zero e che, stando alle ultime, Aeroflot voglia portarsi la compagnia in russia al prezzo di una bottiglia (vuota) di vodka: a queste dichiarazioni possiamo far la tara del malizioso sciovinismo francese e della sanguigna franchezza russa ma, rimosso tutto ciò, resta il fatto che Alitalia vale poco perché, probabilmente, vale poco.

Non giudico il valore dei piloti, dei tecnici e di tutto il personale: con ogni evidenza, la compagnia italiana paga scelte che l’hanno voluta mantenere in vita - una forma artificiale di vita - a dispetto di se stessa, del mercato, delle esigenze dei potenziali clienti.

Forse è questo un discorso che non vale solo per Alitalia ma per il Paese tutto: ognuno dovrebbe aver coscienza che per riprenderci davvero dovremo in qualche modo decollare. Più di tutti, dovrebbe saperlo una compagnia aerea.

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