Purché sia smart

Fa freddo anzichenò ma il sole squilla forte e invita a esporsi. Per questa ragione - oltre che per il desiderio di far quattro chiacchiere - raggiungo lestamente la signora Malinpeggio, sempre di presidio sulla sua amata panchina comunale.

«Buongiorno, signora. Come va?»

«Giusto lei!» la signora mi fa posto sulla panchina, «Venga e si accomodi. Chissà che oggi non riesca a rendersi utile».

Sorvolo sull’alto contenuto di sarcasmo dell’ultima affermazione e, giovialmente, rispondo: «Mi dica tutto. Che cosa posso fare per lei?»

«Una cosa molto semplice: spiegarmi il significato della parola “smart”».

«Lei, signora, è una donna fortunata. Si dà il caso infatti che io abbia una certa padronanza con la lingua inglese, alla quale il lemma da lei riferitomi appartiene, e che la mia buona disposizione d’animo sia pronta a svelarle ogni segreto di questa e di altre espressioni incarnate nell’idioma caro al sommo Shakesperare. Il quale Shakespeare...»

«Quando ha finito con le convulsioni mi faccia sapere».

«La accontento subito. “Smart” è un aggettivo che può avere una quantità di significati. Se riferito a una persona la definisce pulita, ordinata e ben vestita. Se lo si applica a un abito lo qualifica pratico e alla moda. Un oggetto “smart” sarà brillante e attraente, un ristorante (o un luogo aperto al pubblico) sarà certo “di tendenza”. Un apparecchio elettronico diventa invece “smart” quando è in grado di eseguire autonomamente una qualche operazione programmata. Da qui, nel caso dei telefonini ultima generazione, la definizione “smartphone”».

«Allora mi saprà anche dire perché, in un grande magazzino, ho trovato il cartello “smart basket per il tuo shopping” su un cestino per la spesa?»

«No, questo non lo so».

«Ecco: lei è il solito somaro».

«Sì» ho ammesso: «Ma smart!»

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