Mi proverò a descrivere le figure che ho davanti agli occhi. Si tratta di due donne, indubbiamente orientali, quasi certamente cinesi: lo prova il taglio degli occhi, il colore e l'acconciatura dei capelli, nonché la foggia dell'abito, con quel colletto stretto e alto così pudico e tuttavia sedizioso. Tra loro c'è un tavolino laccato rosso, un tavolino da caffè, si direbbe, perché, sopra, vi stanno posate due tazzine della popolare bevanda. Il tavolino ospita anche un gran vaso dai fregi cinesi, corredato da un allegro quanto autorevole sbuffo di fiori.
Le signore non si muovono e non si muoverebbero neppure se lo volessero: sono signore dipinte. La scena che ho descritto è raffigurata in un quadro e il quadro è appeso nella mia camera d'albergo. Non è un brutto quadro, ma neppure posso dire di esserne innamorato.
In una camera precendente a questa, l'amministrazione alberghiera aveva scelto un panorama fotografico cittadino: un'immagine in bianco e nero “trattata” con inserti di colore e di legno. Anche qui, un lavoro decente ma non di soverchiante originalità.
Se sono in grado di descrivere queste opere, in realtà, è solamente grazie a uno sforzo preciso e consapevole: la volontà e il desiderio di scrivere questo articolo. I quadri appesi negli alberghi hanno infatti una sinistra e inspiegabile caratteristica: affondano nella memoria in pochi secondi senza lasciare traccia. Credo che per un artista ci sia un destino ben peggiore dell'insuccesso, dell'incomprensione, del rifiuto e persino della derisione di pubblico e critica: questo destino è di avere un’opera appesa in un albergo.
Il giorno che, per combinazione, dovesse trovarne una sopra al letto nella stanza appena occupata durante un viaggio sarebbe il più brutto della sua vita. Per fortuna, finirebbe per scordarselo subito.
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