Ammesso e (provvisoriamente) concesso che tutti conosciamo il lato peggiore di Internet (gli insulti, le falsità, gli attacchi personali, la volgarità espansa) sarà forse il caso di metterci, uno di questi giorni, alla ricerca del meglio, magari al di fuori della solita - ristretta - cerchia di siti dai quali ricaviamo quel tanto di informazione (generale e pratica) sufficiente alla gestione della vita quotidiana. Qualcosa, attenzione, specifico della Rete e non la semplice riproposizione digitale di stimoli che già conosciamo in altra forma: come un buon libro, o un pezzo di accurato giornalismo che, per inciampo o per fortuna, ha mancato la carta stampata per finire nel Web. A metterla così, presto si scopre come la Rete non sia (altro?) che un entità erogante servizi di inedita comodità: si fanno acquisti in Rete, si prenota albergo e ristorante, si mandano messaggi alla velocità della luce e, soprattutto, si trasmettono faccine più o meno espressive risparmiandosi l’estenuante fatica di cercare una parola adatta a descrivere il nostro stato d’animo.
Ma il meglio - il meglio specifico - possiamo davvero dire di averlo trovato in queste pur diffusissime comodità? Ciò che la Rete può darci al massimo delle capacità sarebbe dunque il mettere la sua agilità e la sua presenza capillare al servizio di cose (gesti, azioni, pensieri e abitudini) che già facevamo prima, anche se con più fatica e maggior “spreco” di tempo?
Convinto che non possa essere così e che Internet sia potenziale fonte di originalità, mi sono dedicato a una ricerca che, per quanto frettolosa ed empirica, un risultato l’ha ottenuto: convincermi che al meglio della sua forma, la Rete può fornirci soltanto - ma è un “soltanto” che scrivo con cautela - un prodotto del quale pare ci sia oggi un gran bisogno: la distrazione.
La ricerca del “meglio” porta proprio a questo, ovvero al venire indirizzati ad ambiti che soddisfano brevi curiosità, illuminati da un’intelligenza all’apparenza vivida ma alla prova dei fatti evanescente.
Un sito - Lifehacker - è tenuto in alta considerazione perché raccoglie un numero enorme di «informazioni incredibilmente utili»: tra queste, come sbucciare un mango in meno di dieci secondi. Un altro - “Mental floss” - è presentato come una raccolta di «articoli ben scritti frutto di ricerche approfondite»: tanto sforzo vi porterà a scoprire «perché nelle conchiglie si sente il suono del mare» e perché «gli sbadigli sono contagiosi». Non bastasse, “Pottermore “è in grado in quattro e quattr’otto di trasformarvi in un personaggio adatto alla saga di Harry Potter, con tanto di assegnazione alla opportuna Hogwarts House, il che, mi dicono, vale quanto un master ad Harvard, se non di più.
A questo punto mi scopro petulante e ingeneroso: non è possibile che, al suo meglio, la Rete produca il nulla e al suo peggio diffonda il Male assoluto. Se ha cambiato le nostre vite - e le ha cambiate - dovrà pure avere qualche proprietà specifica, esclusiva: quella che le ha permesso di plasmare poco a poco le nostre menti. E se oggi abbiamo la sensazione di scivolare giorno dopo giorno sempre più nella stupidità, la ragione sta probabilmente in questa Oscura Proprietà della Rete. Ma non c’è da preoccuparsi, perché essa saprà presto modificare, a beneficio della nostra pace dei sensi, anche il concetto stesso di stupidità.
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