Quando il marcio c’è davvero: dall’inizio alla fine

La storia che segue è parecchio maleodorante. Letteralmente: questione di piedi che puzzano, tanto per intenderci. Mi sembrava giusto avvertirvi. Forse però non basta: dovrei aggiungere che la faccenda puzza su più livelli e se il tanfo ha origine nelle estremità inferiori, c’è il caso che si diffonda in altitudine, e anche in estensione, fino a coprire buona parte del globo.

Non crederete possibile che un paio di piedi possano puzzare tanto. Chiedete però ai passeggeri del volo Transavia partito da Amsterdam destinazione Gran Canaria appena qualche settimana fa. L’odore «tremendo» proveniente da uno dei passeggeri ha dapprima causato mugugni, poi aperte lamentele e infine reazioni fisiche incontrollate: vomito, in particolare.

Un’urgenza, questa, non facile da risolvere perché, proprio nel tentativo di arginare il problema, gli assistenti di volo avevano rinchiuso il passeggero intossicante in uno dei bagni dell’apparecchio. Accorgimento peraltro inutile perché il tanfo non si è placato e il comandante ha infine deciso di risolvere la questione in modo drastico: con un atterraggio di emergenza. Il Boeing 737 della Transavia ha così toccato terra a Fargo, in Portogallo, dove l’uomo è stato accompagnato in ospedale per accertamenti.

La storia, l’avrete capito, non finisce qui. Anzi, si potrebbe dire che è appena incominciata perché, una volta sbarcato il passeggero tossico, l’episodio, da circostanza reale è diventato notizia e, in Rete, da notizia semplice è passata presto a notizia “virale” trascinando con sé, non è difficile immaginarlo, un montante codazzo di commenti, sberleffi, faccine che ridono, faccine che vomitano, feci arricciate, punti esclamativi a raffica, condivisioni in batteria, sgrammaticature, facezie, insulti, ipotesi di complotto, perfino qualche “vergogna” e due “ma allora il Pd?”

La storia dell’aereo «dirottato per puzza» è una di quelle che non sembra vero di poter leggere, tanto accontenta il nostro bisogno di “sapere” senza approfondire, di capire senza comprendere e, soprattutto, di giudicare senza paura delle conseguenze.

Per più giorni la Rete si è divertita a sbeffeggiare il passeggero puzzone: soggetto precipitato, ahilui,dalla parte sbagliata della società virtuale, ovvero della comunità connessa, la quale, lo sappiamo, è in costante ricerca di prede indifese perché indifendibili: il passeggero che puzza, il calciatore che simula, il politico - non importa se qualche volta citato a sproposito - che s’aggrappa ai privilegi.

Nel caso Transavia però, scemata la consueta orgia di battutacce, pernacchie, disegnini e indignazioni a capocchia, saremmo chiamati a prendere atto di uno sviluppo non proprio in sintonia con il canovaccio farsesco al quale la storia era stata piegata: il famoso passeggero, diventato zimbello del Web, è morto in ospedale dopo una precaria degenza in terapia intensiva seguita da un’operazione chirurgica d’emergenza. A ucciderlo, una necrosi che gli ha rapidamente divorato le cellule di buona parte del corpo.

Ora, siccome questo epilogo non fa tanto ridere, non è diventato “virale” quanto il prologo e, anzi, è stato sbattuto in un angolo e praticamente ignorato. Colpa della realtà, non c’è dubbio, che si è rifiutata di aderire fino in fondo alle nostre esigenze di cazzari globali. Eppure, essa pensava forse di essere stata coerente: c’è del marcio, in questa storia: dall’inizio alla fine.

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