Dall’agenzia Ansa: «Un uomo di 65 anni è stato soccorso e salvato da un arresto cardiaco in piazza della Libertà a Savigno, nel Bolognese, grazie all’intervento immediato di due infermieri, in quel momento non in servizio e fortunatamente nelle vicinanze del defibrillatore a disposizione nella stessa piazza. È stato rianimato e portato all’ospedale Maggiore in elicottero e le sue condizioni sono state valutate di media gravità: si era quindi ripreso».
Son queste le notizie che, fattasi una certa età, sembrano affollarsi sotto l’occhio. Con “certa età” si intende, per la precisione, la mia, che non è (ancora) quella del signore di Savigno ma non ci manca poi molto: meno di dieci anni. Un tempo dieci anni erano un periodo spaventosamente lungo. Il sottoscritto, al decimo compleanno, nemmeno poteva immaginare se stesso ventenne. Oggi, finito di lavorare, fatta una vacanza e lette le notizie sulla pandemia, mi accorgo che è passato un anno: perché trascorra un decennio ci vuole il tempo che, da ragazzo, mi sembrava fosse necessario a portare a compimento una settimana.
Nella notizia riportata all’inizio mi ha però colpito non tanto l’età del signore quanto l’espressione “non in servizio” usata in riferimento agli infermieri che gli hanno salvato la vita. Non è un caso che l’abbia notata: l’espressione ricorre nelle cronache con una certa frequenza. Spesso è applicata a carabinieri e agenti di polizia: capita continuamente di leggere come “fuori servizio” abbiano bloccato criminali o siano comunque intervenuti per cercare di evitare violenze, furti o altre contingenze penali. Mi chiedo perché i cronisti insistano nel sottolineare quel particolare. Come potevano, i due infermieri del Bolognese, salvare la vita di un uomo in piazza se in quel momento fossero stati “in servizio” all’ospedale? E il carabiniere o il poliziotto che nelle ore libere interviene a difesa dei cittadini in una situazione d’emergenza come potrebbe farlo se per prima cosa decidesse di attendere l’orario di inizio del turno di lavoro?
Forse nei cronisti si è insinuata la convinzione che, oggi, agire al di fuori delle strette competenze e senza preoccupazioni circa le fasce orarie, è un comportamento eccezionale, degno di essere commendato con una riga all’interno di un servizio giornalistico.
Eppure, la frequenza con cui questa espressione viene usata ci dice che è vero il contrario. Non è affatto raro che gli agenti di polizia intervengano anche quando sono fuori servizio, così come medici e infermieri non aspettano di timbrare il cartellino quando si presenta una situazione in cui il loro intervento può essere salvifico.
Ci siamo rassegnati a raccontare (e a immaginare) una società in cui perfino la solidarietà più naturale è un fatto che desta meraviglia. E invece c’è in giro più generosità di quanta ci farebbe credere una rappresentazione della realtà allestita sempre per contrapposizioni, polemiche, di qua e di là, voi e noi. Ciò non necessariamente sta a significare che c’è speranza per l’umanità. Più probabilmente vuol dire che l’umanità crede ancora nella speranza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA