Da una amica che, con pazienza e gentilezza, segue queste righe quotidiane arrivano via Internet un augurio e un brano di Eraldo Baldini, scrittore, che se la prende con i botti di capodanno. L’invito dell’amica, cortese e pressante insieme, è a farne buon uso da qualche parte nel giornale.
Raccolgo la sfida ma, testardo e presuntuoso, invece di “usare” Baldini cercherò di usare me stesso al massimo delle capacità mentali. Vabbè, insomma, ce la metterò tutta.
Lo faccio nella convinzione che la causa è giusta. I botti di fine anno si travestono da tradizione per giustificare una forma di irrispettosa superstizione e per concedere una notte di libera uscita a quel primitivo, strisciante, meschino e codardo disprezzo per il prossimo verso il quale, in nome di un malinteso amore per noi stessi, non siamo mai abbastanza severi.
Far saltare un petardo nella notte, mitragliare il quartiere con piccoli e grandi peti di polvere da sparo, produce esattamente il rumore che vuol fare chi non ha niente da dire ma non per questo rinuncia a dirlo. Terrorizzare animali domestici, disturbare anziani e ammalati, ridurre le strade a versioni casarecce di “Apocaypse Now” non è per costoro un prezzo troppo alto da pagare. Perfino le gravi ferite che di tanto in tanto i petardanti si infliggono non sembrano preoccuparli. Dopo tutto, non corrono il rischio di procurarsi lesioni al cervello: non avendolo, come potrebbero danneggiarlo?
Però mi dispiace chiudere l’anno su una nota così polemica. Eccomi allora a proporre un’alternativa ai botti, un antidoto al rumore: il silenzio. Pensate a quanto sarebbe rivoluzionario, sicuro, eccentrico ed esilarante se, questa notte, invece che squarci di rumore ci impegnassimo a festeggiare l’arrivo del nuovo anno facendo esplodere, tra noi, dei gran botti di silenzio. A mezzanotte, ecco partire girandole di quiete, mortaretti di pace, tric e trac di beatitudine. Pensate anche a quante cose, in quel silenzio, potremmo finalmente dirci.
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