Il potere delle statistiche, anche quelle fatte a spanne, è che ti inchiodano a un dato. Dai dati, perfino quelli più precisi, noi siamo abituati a svicolare. Ce lo insegna la politica, lo ribadisce il marketing e infine lo sottolinea anche l'innata tendenza che abbiamo, se non a mentire, almeno ad abbellire la realtà secondo il nostro tornaconto.
Con le statistiche è più difficile: esse dipingono un insieme, trascurando l'individuo. Esso, dunque, può tentare di giustificare se stesso ma ancora non sfuggirà al gruppo. Tutto questo per dire che ho trovato una statistica interessante. Eccovela: è stato calcolato che circa 100 anni fa non più del 10 per cento delle morti poteva essere attributo a comportamenti autodistruttivi; oggi siamo saliti al 40. Abbiamo significativamente abbattuto le cause di morte “esterne” – per certe malattie, per esempio – ma, senza accorgercene, abbiamo incrementato quelle autoinflitte. Con queste ultime, si intendono quelle prodotte da comportamenti come alimentazione scorretta, fumo, imprudenza alla guida e, in generale, uso improprio o troppo disinvolto della tecnologia.
Pensate: quaranta volte su cento la causa della nostra morte è dovuta a un comportamento che avremmo potuto evitare. Colpa nostra, in altre parole. O meglio, suggeriscono gli esperti di economia comportamentale, colpa di un'organizzazione sociale che, spesso a fini commerciali, ci impone scelte sbilanciate: un panino stracolmo di maionese subito, per chiudere un buco nello stomaco, o il digiuno per stare bene tra vent'anni? "Download” della posta elettronica mentre attraversiamo la strada, per vedere se è arrivato un importante messaggio, o rinvio dell'operazione di qualche minuto a beneficio di una vita più lunga? Purtroppo, la risposta è spesso dettata dai doveri di conformismo che sentiamo di dover osservare. In tutto questo ho una sola certezza: la “buonanotte” non vi allungherà la vita ma di certo non ve la accorcerà. Giusto per sicurezza, prima di leggerla, guardate comunque a destra e a sinistra.
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