Raggio di sole

Quando la vista oltre la finestra non è altro che pioggia, si prevede sovvenga un qualche sbandamento umorale. La pioggia, debbo precisare, non è il problema più grave: il suo tamburellare, anzi, è piacevole e rilassante. A patto, naturalmente, che non insista direttamente sulla calotta cranica.

Ciò che davvero soffoca l’umore, lo rende fiacco e remissivo, esausto e insonne, è il grigiore. Il quale può definirsi come una opprimente scarsità di candele, intese queste ultime nel senso di unità di misura dell’intensità luminosa. Ciò dimostra che della luce abbiamo bisogno più di quanto pensiamo: privi di essa, le nostre energie languono.

Una conferma della dipendenza umana dalla luce mi è arrivata proprio ieri, giornata di impressionante uniformità grigesca, dalla visione in tv di un documentario dedicato a Rembrandt. Il programma, ben confezionato, alternava splendide inquadrature in alta definizione dedicate ai capolavori del maestro olandese a riprese girate nei suoi luoghi d’origine. Improvvisamente, diventava lampante - luminoso, appunto - il mistero dei suoi chiaroscuri, di quella luce miracolosa che, nei dipinti, irrompe a benedire volti e ambienti immersi in una deprimente oscurità: nato sotto un cielo nordico, che troppo spesso gli negava il fulgore del sole, Rembrandt con la sua arte rese un supremo omaggio all’ingrediente più raro e prezioso delle sue giornate. La luce, appunto.

Riflettevo su questo quando, terminato il documentario, sullo schermo è apparsa la tradizionale scenografia delle previsioni del tempo: una foto satellitare comprensiva di nuvole, correnti, alte e basse pressioni.In un riquadro, il simpatico mezzobusto che, preso fiato, ha incominciato la sua relazione: «Maldembo forde al Nord, sbecie su Veneto e Albi, neve dra i seigento medri a ovest e i milltregendo medri a esd. Temberadure in galo...» e via così sul ciglio dello starnuto e della congestione nasale. Ho riso: un raggio di sole, nel caso, possiamo sempre fabbricarcelo da soli.

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