Non so quanto le presenti elezioni amministrative possano fornire indicazioni su prossime consultazioni politiche che verranno celebrate, quando verranno celebrate, con regole, si spera, alquanto diverse. Questo interrogativo non ha tuttavia impedito alla stampa dall’analizzare minuziosamente il responso delle urne, profetizzando il crollo dei grillini, il rigonfiamento del Pd, lo sbandamento del Pdl e la morte di Dio sulla base di cinque sezioni su 38 nella città di Isernia.
Soprattutto, i giornali e le tv non si sono fatti intimidire dal dato elettorale più evidente: la crescita dell’astensionismo. Interpretare le azioni umane è già impresa che spesso si rivela superiore alle nostre forze, figuriamoci quanto può essere difficile valutare una non-azione come quella di rinunciare al voto. Questo dubbio non ha sfiorato in commentatori di professione che hanno riempito colonne di giornale e trasmissioni tv su concetti quali la "disaffezione per la politica", la "delusione per l’anti-politica", "un possibile interesse per l’anti-anti politica" e, quando le sezioni di Isernia sono diventate sei su 38, sulla "perplessità riguardo l’anti-anti-anti politica".
In tutto questo anche i politici hanno cercato, da par loro, di interpretare il voto. E, in particolare, di capire perché molta gente non si disturba più a votarli cosa che, alla lunga, può provocare qualche scompenso anche nei partiti più impermeabili all’opinione pubblica.
Interessante, a questo proposito, l’analisi di Fabrizio Cicchitto, deputato Pdl di lungo corso, il quale, in tv, mentre al suo fianco un commentatore stramazzava parlando di "anti-anti-anti-anti politica", sosteneva che, forse, nel suo partito c’è bisogno di «più democrazia». Non per mettere in discussione la leadership di Berlusconi, giammai: si tratta, secondo Cicchitto, di «strutturare un partito in termini democratici per ristabilire un minimo di rapporto con la gente». Laddove quell’aggettivo - "minimo" - vale più di mille programmi.
Soprattutto, i giornali e le tv non si sono fatti intimidire dal dato elettorale più evidente: la crescita dell’astensionismo. Interpretare le azioni umane è già impresa che spesso si rivela superiore alle nostre forze, figuriamoci quanto può essere difficile valutare una non-azione come quella di rinunciare al voto. Questo dubbio non ha sfiorato in commentatori di professione che hanno riempito colonne di giornale e trasmissioni tv su concetti quali la "disaffezione per la politica", la "delusione per l’anti-politica", "un possibile interesse per l’anti-anti politica" e, quando le sezioni di Isernia sono diventate sei su 38, sulla "perplessità riguardo l’anti-anti-anti politica".
In tutto questo anche i politici hanno cercato, da par loro, di interpretare il voto. E, in particolare, di capire perché molta gente non si disturba più a votarli cosa che, alla lunga, può provocare qualche scompenso anche nei partiti più impermeabili all’opinione pubblica.
Interessante, a questo proposito, l’analisi di Fabrizio Cicchitto, deputato Pdl di lungo corso, il quale, in tv, mentre al suo fianco un commentatore stramazzava parlando di "anti-anti-anti-anti politica", sosteneva che, forse, nel suo partito c’è bisogno di «più democrazia». Non per mettere in discussione la leadership di Berlusconi, giammai: si tratta, secondo Cicchitto, di «strutturare un partito in termini democratici per ristabilire un minimo di rapporto con la gente». Laddove quell’aggettivo - "minimo" - vale più di mille programmi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA