Certa gente ha coraggio (o incoscienza) da vendere e, oggi, avere coraggio (o incoscienza) da vendere vuol dire farsi domande vaste, essenziali, difficili. Una di queste se l’è posta Steve Stewart-Williams, un simpatico blogger indifferente alla sua stessa sfacciataggine. La domanda è la seguente: «Perché i politici dicono cose stupide?»
Questa uscita può sembrare, a prima vista, qualunquismo in forma interrogativa. Tutti parliamo male dei politici e osservare che dicono cose stupide potrebbe essere un luogo comune. Pensiamoci, però: quando è l’ultima volta che un’osservazione detta da un politico ci ha colpito per la sua brillantezza? Quand’è stato che Renzi ci ha fatto saltare sulla sedia con una pensata geniale o Salvini ha toccato vette prossime a quelle di Einstein?
Stewart-Willams ha dunque ragione: i politici dicono cose stupide. Chiedersi perché è legittimo: dopo tutto è difficile che non lo facciano apposta. È questo il tipico caso in cui nella stupidità deve per forza esserci del metodo. Dunque, secondo il nostro amico blogger, i politici dicono stupidaggini perché, dal loro punto di vista, è la cosa intelligente da fare. In altre parole, essi rispondono razionalmente agli incentivi creati dalla democrazia.
Quali incentivi? È evidente: il politico è interessato a inviare un messaggio comprensibile e di grande presa a un pubblico disinformato e annoiato - quando non irritato - dalla politica, e la stupidità risponde a tutti questi requisiti.
Ma allora perchè la gente “vuole” sentirsi dire cose stupide? Anche qui, perché è questo l’incentivo che gli arriva dalla politica. Il comune cittadino è convinto che il suo voto conti comunque poco e che pertanto informarsi a fondo non conviene: tanto, pensa, nulla può cambiare. Le sue energie intellettuali preferisce spenderle per qualcosa che può dargli un dividendo, sia esso economico o morale. In conclusione: i politici hanno il pubblico che vogliono e il pubblico ha i politici che chiede. A unirli, il reciproco interesse alla stupidità.
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