Ogni volta che trovo una notizia, anche minima, sul bosone di Higgs, la mia attenzione si ringalluzzisce come quella di un consigliere regionale davanti a un gettone di presenza. Non perché sia particolarmente appassionato - o esperto - di fisica subatomica, ma perché la caccia, e la presunta cattura, di questo minuscolo mattoncino dell’universo - chiamato anche "particella di Dio" - è stata un’avventura che i media, forse loro malgrado, hanno saputo umanizzare, elevare a toni drammatici e, a volte, sublimare in irresistibile farsa.

Proprio ieri nella newsletter di "New Scientist", rivista pubblicata online, ho letto un annuncio così congegnato: «Ricordate l’eccitazione provata quando il bosone di Higgs fu scoperto? Questa settimana, la nostra storia di copertina spiega come mai gli scienziati ora vorrebbero aver trovato qualcosa di diverso». Interessante no? Che cosa mai sarà successo? Si saranno accorti di aver bussato al bosone sbagliato?

In teoria, era facile scoprirlo: bastava seguire un "link" ben riportato nella newsletter. In pratica, ci ho rinunciato. Ebbene sì: il mio desiderio di conoscenza, lo spirito di pioniere della scienza, il fuoco del sapere che squarcia le tenebre dell’ignoranza, tutta questa roba insomma, è svanita di fronte all’ennesima richiesta di "registrazione".

L’idea di dover compilare un modulo, inserire l’indirizzo e-mail e soprattutto una password, ovvero una di quelle combinazioni di otto lettere, contenenti almeno una maiuscola e tre cifre, prive di segni tipografici ma con l’obbligo di un carattere cuneiforme assiro-babilonese, da digitare due volte dopo aver copiato una serie di lettere storpiate e generate a caso, mi ha scoraggiato. Chiedo scusa, ma la certezza di non poter tenere a mente l’ennesima password, l’ennesimo rebus mentale, è bastata a fermarmi. Scommetterei però che proprio per questo gli scienziati avrebbero voluto trovare «qualcosa di diverso»: sul punto di svelare la sua intima natura, il bosone avrà chiesto loro di registrarsi.

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