Ribelli

Ribelli

In un saggio pubblicato ieri dal Corriere della Sera, il sociologo polacco Zygmunt Bauman descriveva i vandali inglesi come «figli umiliati dal consumo all’assalto delle Nuove Cattedrali». Facendo leva sull’immenso vantaggio di chiamarsi Zygmunt Bauman e non, per dire, Luigino Pedretti, sosteneva, con polacca profondità, che «per i consumatori senza accesso al mercato, i veri poveri di oggi, il non poter acquistare è lo stigma odioso e doloroso di una vita incompiuta, la conferma della propria nullità e incapacità. (...) I supermercati saranno anche cattedrali aperte al culto per i fedeli, ma per gli esclusi, gli scomunicati, gli indegni, per tutti coloro che sono stati allontanati dalla Chiesa del Consumo, essi rappresentano le postazioni del nemico, erette nei deserti dell’esilio».
Giusto, non vi pare? Addirittura impeccabile, direi. Se non che, davanti alle scene trasmesse dalla tv, noi tremuli consumatori aggrappati alle nostre proprietà insistiamo nel voler capire se tanta violenza ha una radice precisa e pertanto, pur con qualche sforzo, potremmo arrivare a comprenderla per poi smussare il panico che alimenta in noi, oppure l’acuta indagine sociologica di Bauman si limita a condurci ai margini di un deserto nel quale nessuna pista è tracciata.
Al momento, la nostra è impressione è che se tempi eroici hanno prodotto ribelli eroici e se tempi difficili hanno prodotto ribelli duri e se tempi autoritari hanno prodotto ribelli autoritari, tempi stupidi produrranno inevitabilmente ribelli stupidi. E dunque non ci sarà scampo né per noi né per loro.

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