Ricchi e poveri

Ricchi e poveri

Non è una scoperta: piuttosto una conferma. Val la pena però di registrarla, a futura memoria: la povertà conosce se stessa, la ricchezza no. Lo dimostra un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti: gli americani ricchi non hanno idea di quanto sono ricchi rispetto agli altri americani. In altre parole, la ricchezza è una sorta di filtro o, se preferite, di specchio deformante rispetto alla realtà: un miliardario non solo non conosce il valore delle cose, ma neppure riesce a stimare quanto questo errore di percezione lo allontani dagli altri.

Al contrario, possiamo ben immaginare come la povertà sia uno strumento di precisione, un orologio atomico, una bilancia tarata al microgrammo. La povertà, diciamo così, è uno sguardo a dieci decimi sulla realtà. Non c’è povero che non sappia di essere povero. Non basta: egli sa anche esattamente quanto è povero e saprebbe dire con esattezza quanto un ricco è più ricco di lui e, di conseguenza, quante più opportunità di accumulare benessere gli siano offerte.

La crisi finanziaria ha riportato nei giornali, in tv e nei libri la parola "povertà", ma solo come concetto giornalistico, intellettuale o in qualità di catalizzatore della nostalgia. Pur nel disagio per questi sterili esercizi di retorica, bisogna riconoscere che è un buon segno: vuol dire che non siamo ancora poveri. Quando accadrà, lo sapremo all’istante.

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