Salute e pietà

L’ultima cosa di cui la Apple ha bisogno è che io le faccia pubblicità in questo spazio. Basti dire che, proprio nei giorni scorsi, il popolare marchio informatico ha superato il valore record di 700 miliardi di dollari, più o meno quanto il Prodotto interno lordo dell’Olanda, più di quello del Belgio e circa la metà della Spagna.

Una potenza, insomma: potrebbe dichiarar guerra all’Argentina e imporre per legge che laggiù tutti usino Safari invece di Chrome o Firefox. Se parlo di Apple non è dunque per diffondere notizie che la riguardano ma per commentarle. La potenza economica del marchio, unita al carisma e all’immagine generale largamente positiva di cui gode, consente ai suoi dirigenti di incidere profondamente nei costumi, nelle mode, nel pensiero e nelle abitudini. In altre parole, nella cultura.

Ecco perché c’è da preoccuparsi, o quantomeno da pensare, quando Tim Cook, amministratore supremo di Apple, dice che «la sedentarietà è il nuovo cancro» e che il nuovo prodotto della casa, Apple Watch, ci aiuterà a combatterla. A quanto è dato di capire, più che “aiutarci” a essere meno sedentari Apple Watch ci imporrà di non esserlo affatto. Una funzione del nuovo orologio super-tecnologico ci avviserà infatti quando «staremo fermi per troppo tempo».

Credo che sia questo il momento giusto per mettersi d’accordo con Apple su che cosa si intenda per «troppo tempo». Quando l’Apple Watch diventerà, come è inevitabile che accada, il nuovo gadget da avere a tutti i costi, allora sarà tardi per negoziare con Cook: bisogna farlo adesso, prima che Apple imponga un “default” mondiale sulla sedentarietà massima tollerabile.

Personalmente, non rifiuterei il suggerimento di un orologio a muovermi di più: vorrei però che la tecnologia fosse intelligente a sufficienza da considerarci uomini e non molecole di grasso da agitare prima che sedimentino. Salute, d’accordo, ma anche pietà. Già ieri mattina mi è sembrato di sentire la dispensa darmi del mollusco solo perché ho mangiato un biscotto fuori pasto.

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