Sbronza atomica

Nel corso dei secoli l’uomo è stato crudele, ingegnoso, poetico, violento, stupido e geniale. Altrettanto spesso è stato un gran credulone: ha creduto fermamente in cose che altri uomini hanno voluto fargli credere e, prima di ricredersi, di solito c’è voluta parecchia insistenza.

Se uno studioso si impegnasse a scrivere una “Storia universale della credulità” credo finirebbe per comporre un’opera incredibile (ma forse, proprio per questo, creduloni come siamo, non tarderemmo a crederci). Nel redigere questa Storia, l’autore avrebbe certo abbondanza di spunti ma forse si accorgerebbe che non si tratta di materiale omogeneo. L’uomo è stato costantemente credulone, questo è sicuro, ma ha creduto in cose diverse in tempi diversi e le fonti della sua credulità sono spesso cambiate.

Dopo la Seconda guerra mondiale, per esempio, l’uomo ha incominciato a credere molto nella scienza e nella tecnologia. Le tante scoperte di laboratorio e gli immensi passi in avanti della tecnica, ci hanno dato l’impressione che, senza bisogno di capirci molto, potevamo affidarci al progresso materiale perché ci proteggesse, guarisse e divertisse. Negli anni ’50, la constatazione di come la scienza avesse liberato l’energia dell’atomo provocò paura ed entusiasmo in parti uguali. Paura per la distruzione che poteva portare, entusiasmo per i presunti poteri taumaturgici che queste radiazioni sembravano misteriosamente possedere.

Da un angolo della Rete, è saltata fuori per esempio la pubblicità di un whiskey - il Frisky Whiskey - prodotto nel 1963 e “invecchiato con materiale atomico”: «Quarant’anni di invecchiamento ottenuti in trenta minuti» grazie al bombardamento nucleare. Oggi, chiedendoci con un poco di inquietudine che cosa sarà accaduto ai poveri bevitori di Frisky Whiskey, possiamo ridere di quella ingenuità. Fino a quando, tra 50 anni, qualcuno scoprirà le nostre. Ci sarà poco da ridere, immagino, tanto che una sbronza radioattiva potrebbe perfino sembrare un’opzione ragionevole.

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