Ancora poche ore e il calciomercato sarà finito. Resterà il calcio senza il mercato e, francamente, dov’è il divertimento? Molto più eccitante, e amabilmente surreale, seguire le indiscrezioni estive sui possibili spostamenti dei calciatori, indiscrezioni che, nelle ultime giornate di trattative, raggiungono l’apice, dando vita a straordinari psicodrammi. Valga per tutti il caso del bulgaro Berbatov, passato in una manciata di ore da attaccante a Manchester a centrocampista a Firenze, difensore a Torino, tappezziere a Praga, elettrauto a Abu Dhabi e infine di nuovo attaccante, ma questa volta al Fulham.
Nonostante tutti i vantaggi e i privilegi che la vita di calciatore assicura, sono convinto ci voglia un certo spirito avventuroso nell’assistere - e solo parzialmente partecipare - a così repentine decisioni che riguardano il proprio futuro. I calciatori, ormai liberi da qualunque puerile legame sentimentale con le squadre in cui giocano, devono essere pronti a tuffarsi dove, all’improvviso, si apre per loro il conto corrente più ampio, non importa se a Madrid, Londra, Pescara o Minsk.
Vero che, per loro, il tornaconto economico è immenso, ma, riflettendoci, ben pochi nel mondo del lavoro sarebbero oggi disposti a spostamenti tanto significativi con così poco preavviso. Sarebbe quasi da auspicare che il calciomercato valesse per tutti e per tutto: un bel rimescolamento annuale di persone, luoghi e professioni, a discapito della competenza, certo, ma a vantaggio del rinnovamento e della globalizzazione, oltre che delle merci, anche dei mercanti. Uno potrebbe vendere auto a Crotone fino a giugno e, dopo le vacanze, trasferirsi nelle Shetland a piazzare assicurazioni. Oppure spaccare pietre in Venezuela prima dell’estate e, a ottobre, giocare nel centrocampo del Milan. E, a giudicare da alcuni scambi, non è detto che non sia già così.
Nonostante tutti i vantaggi e i privilegi che la vita di calciatore assicura, sono convinto ci voglia un certo spirito avventuroso nell’assistere - e solo parzialmente partecipare - a così repentine decisioni che riguardano il proprio futuro. I calciatori, ormai liberi da qualunque puerile legame sentimentale con le squadre in cui giocano, devono essere pronti a tuffarsi dove, all’improvviso, si apre per loro il conto corrente più ampio, non importa se a Madrid, Londra, Pescara o Minsk.
Vero che, per loro, il tornaconto economico è immenso, ma, riflettendoci, ben pochi nel mondo del lavoro sarebbero oggi disposti a spostamenti tanto significativi con così poco preavviso. Sarebbe quasi da auspicare che il calciomercato valesse per tutti e per tutto: un bel rimescolamento annuale di persone, luoghi e professioni, a discapito della competenza, certo, ma a vantaggio del rinnovamento e della globalizzazione, oltre che delle merci, anche dei mercanti. Uno potrebbe vendere auto a Crotone fino a giugno e, dopo le vacanze, trasferirsi nelle Shetland a piazzare assicurazioni. Oppure spaccare pietre in Venezuela prima dell’estate e, a ottobre, giocare nel centrocampo del Milan. E, a giudicare da alcuni scambi, non è detto che non sia già così.
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