Abbiamo fatto delle opinioni dei manifesti e dei crucci delle ossessioni. Così, alle notizie reagiamo sempre (o spesso) come se arrivassero apposta per confermarci nelle nostre convinzioni, specie quelle più pessimistiche. Chi si inquieta per il problema dell’immigrazione, individuerà segnali di sventura anche nel notiziario sportivo; chi, invece, ha fatto delle banche e dei “poteri forti” i suoi arci-nemici, ne scoprirà la presenza perfino nella rubrica di giardinaggio. Ci sono notizie, però, che possono ancora confonderci. Questa, per esempio:
«NAPOLI, 7 FEB - Aveva preso di mira, per le sue estorsioni, la comunità bengalese di San Gennaro Vesuviano (Napoli), arrivando a incollare l’ingresso del locale adibito a moschea in modo da impedire l’ingresso ai fedeli. È finito agli arresti domiciliari con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso: chiedeva agli immigrati una sorta di colletta, minacciandoli e dichiarandosi “il boss di San Gennaro Vesuviano”».
Interessante, no? Qui la xenofobia incontra la mentalità mafiosa e produce, per sublimazione, un guadagno raccolto grazie al reagente della truffa. A San Gennaro Vesuviano si è riformata la commedia dell’arte: con l’aiuto di Goldoni e, magari, di Molière, il finto “boss” avrebbe potuto diventare un personaggio indimenticabile, che i migliori attori di teatro sarebbero stati felici di portare sulla scena e che, inevitabilmente, avrebbe trovato, in tempi più moderni, una sintesi televisiva o addirittura cinematografica.
Purtroppo, siamo nel 2017, e non abbiamo più la testa, e soprattutto il cuore, per elevare un personaggio così alla dignità, sia pur buffonesca, di uno Scapino o di uno Zanni. Finirà tutto tritato dalla cronaca: peccato, un’altra buona occasione per comprendere la sostanziale ridicolaggine dei nostri conflitti che va perduta.
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