E se con questi social media avessimo sbagliato tutto fin dall’inizio? Se li immaginiamo come un’arma - una pistola, poniamo - potremmo dire che fino a oggi non abbiamo fatto altro che impugnarla alla rovescia, puntandoci la bocca da fuoco dritto in faccia, invece che rivolgerla nell’opposta direzione, dove più propriamente avrebbe potuto svolgere il suo compito.
Siccome la metafora armaiola non mi piace, ora che è servita allo scopo la ripongo senza rimpianti. Il concetto però resta: ci siamo inflitti un sacco di stress e rabbia, con ’sti social, quando potevamo metterli al lavoro per migliorarci la vita. L’esempio viene proprio dalla pandemia di coronavirus. Un recente articolo di scientificamerican.com punta la nostra attenzione sul fatto che un’analisi costante del contenuto dei social - così come dei siti di informazione - potrebbe essere utile per arginare future epidemie. Per quella in corso, purtroppo, c’è poco da fare, ma ormai dobbiamo aspettarci che situazioni del genere possano ripetersi.
E dunque è interessante apprendere che in anticipo di sette giorni sul primo annuncio emesso dall’Organizzazione mondiale della sanità circa «una nuova malattia respiratoria a Wuhan», un team di ricerca con sede a Boston - HealthMap - aveva colto indizi del problema nelle conversazioni del sito cinese di micro-blogging Weibo. Espressioni come “fatica a respirare” e “diarrea” ricorrevano in modo piuttosto sospetto.
HealthMap aveva già dato prova di sé nel 2009, monitorando fonti di informazione in lingua spagnola. In questo modo era riuscito a registrare al volo gli inizi di un’epidemia di influenza suina in Messico. E ancora, cinque anni dopo, si rivelò prezioso nel “mappare” le aree colpire dal virus Ebola in Africa.
Un sistema che ha degli svantaggi: quando la celebre Oprah Winfrey parlò del libro “L’amore ai tempi del colera” ai soci del suo club di lettura virtuale, per qualche momento si scatenò il panico. Gli analisti, notando una furiosa ricorrenza della parola “colera”, temettero il peggio.
Contrattempi a parte, lo studio dei “micro-trend” nei social potrebbe essere utile: ciò di cui si parla oggi con allarme in un angolino del mondo, potrebbe diventare un problema globale. Saperlo in anticipo, aiuta a ridurre i rischi.
In tutto ciò c’è un pericolo evidente: un mondo più protetto è un mondo senza privacy. Dovremo sopportare che qualcuno - magari un algoritmo, ma comunque un algoritmo programmato da un essere umano - ficchi il naso nelle nostre conversazioni private in nome di un bene superiore come la salute pubblica. Un lavoro di spionaggio non nuovissimo: già era stato fatto, e probabilmente continua a essere fatto, da chi si occupa di contrastare il terrorismo.
Una tale mole di informazioni si presta a manipolazioni che aprono l’immaginazione a scenari straordinariamente sinistri. Si potrebbero “costruire” epidemie “fake”, ovvero false, oppure ignorarne di vere a fini politici ed economici. Prospettive di vastità sconvolgente che però, ancora una volta, ci chiamano alla scelta più semplice e decisiva: quella tra bene e male. All’umanità tocca dunque lo sforzo di rinsavire per tempo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA