Mi ha colpito molto leggere una frase pronunciata da Paolino Pulici, ex campione degli stadi e oggi responsabile della Scuola calcio della Tritium di Trezzo d'Adda: “La mia squadra ideale” ha detto, “è composta da orfani”. Con questo Pulici intendeva dire che non se ne può più dei genitori-tifosi che, assiepati a bordo campo, mentre i figli cercano di fare sport loro cercano di distruggerlo. La distruzione dello sport avviene in due modi sostanziali: la denigrazione dell'avversario, non più accettato come pari, ma quasi come clandestino intruso (l'altra squadra si sarebbe presentata non invitata e più che batterla, la si vorrebbe vedere scomparire dal campo) e la delegittimazione di chi - come l'arbitro - è tenuto a far applicare le regole.
Pulici ha dunque ragione nel desiderare l'eliminazione di quegli elementi che fanno di tutto per abbattere ciò che lui starebbe cercando di costruire. Ha ancora più ragione se si pensa a quale straordinaria conquista della modernità sia lo sport. È vero che la sua origine affonda nelle remote pietre di Olimpia, ma lo sport organizzato, diffuso e praticato è una faccenda relativamente recente. Eppure in poco tempo ha assunto un ruolo grandioso: i giornali, nel tentativo di raccontare il quotidiano dell'uomo, passano dall'economia alla cronaca, dalla politica alla cultura per approdare sempre allo sport il quale, in teoria, dovrebbe rappresentare un recinto nel quale si compone finalmente una fiorita utopia: competizione nella lealtà, sfida nell'amicizia.
Mi è sempre piaciuto pensare che, in fondo all'elenco delle tante imperfezioni umane i giornali trovassero spazio, con lo sport, per riferire dell'unica Arcadia che sia stato possibile fino a oggi realizzare ed eleggerla a quotidiano esempio. Ma il richiamo di Pulici ci rivela che, visto come si comportano i genitori, è più probabile che siamo noi a rovinare lo sport che lo sport a migliorare noi. Fosse una partita, prevederei la sconfitta.
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