Scrolling infernale

Credo di averlo già detto, nondimeno lo ripeto: nei momenti di confusione ricorro sempre al vocabolario. Ecco cosa riferisce la Treccani a proposito del termine “scrolling”: «In informatica, lo scorrimento in senso orizzontale o verticale di un testo o di un’immagine sullo schermo di un calcolatore in modo tale che questi scompaiano in un lato dello schermo e nuovi dati appaiano dal lato opposto».

Costretto all’asettica ufficialità, il vocabolario parla di “testo”, di “immagini” e, ancora più in astratto, di “dati”: io parlerei di mostruosità, e vi spiego perché.

Non intendo, qui, dilungarmi sulla foto del bambino morto che tanto fa discutere. Per quanto mi riguarda non è una foto: è la realtà e la realtà, di tanto in tanto, bisognerebbe guardarla. Se invece parliamo di immagini allora dobbiamo per forza parlare di “scrolling”: da qui la necessità di far chiarezza ricorrendo al dizionario. Infatti, ora che grazie alla Treccani sappiamo di cosa si tratta, possiamo concentrarci sull’effetto che fa. Esso è il gesto quotidiano che ha sostituito lo sfogliare il giornale e cambiare canale tv. Qualche decennio fa lo “zapping” divenne il gesto con il quale ognuno di noi “filtrava” (ma sarebbe meglio dire “ammassava”) le immagini dirette al suo cervello. Qualcuno scoprì l’intima schizofrenia dello “zapping”, che in pochi secondi consentiva di passare dalle veline alla guerra, dagli omicidi al gioco a premi, dai film dell’orrore agli orrori della vita: il programma “Blob” divenne il contrappunto ironico di questa macelleria visuale.

Eppure lo “zapping” non era che una versione edulcorata di ciò che oggi è lo “scrolling”: il dito muove sullo smartphone o sulla rotella del mouse e ci conduce in una passeggiata selvaggia lungo la quale incontriamo cadaveri di bambini e finaliste di Miss Italia, gadget tecnologici e corpi decapitati. E noi, drogati da questo pastone che blocca i gangli del discernimento e paralizza i centri della critica, vorremmo poi giudicare cosa è giusto e cosa è sbagliato.

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