Se monitorando

Se monitorando

«Anche una nave della Nato sta monitorando la situazione nelle acque in cui sta navigando la petroliera italiana sequestrata dai pirati».
Di questa frase, compresa in una nota d’agenzia di martedì 8 febbraio, mi ha colpito, in subordine rispetto al dramma della petroliera, l’uso del verbo "monitorare". Si tratta di un’espressione relativamente nuova, almeno nella diffusione generale. A naso, direi dieci, vent’anni al massimo. Un tempo non si «monitorava»: tuttalpiù si «controllava». Ma "monitorare" non è esattamente "controllare": piuttosto, si tratta di un controllo protratto nel tempo. Implica, alla radice, l’uso di un monitor. Come quelli che controllano, di continuo, le funzioni vitali di un paziente ricoverato in ospedale. Anzi, è proprio dall’efficace rappresentazione di questa contingenza che il verbo "monitorare" si è fatto strada nel mondo. Come si "monitorano" i battiti di un cuore o le tenui attività elettromagnetiche di un cervello, si possono controllare di continuo l’attività sismica di una faglia, il livello di smog nell’atmosfera e, con strumenti sensibilissimi, perfino il grado di interesse delle dichiarazioni di Capezzone.
Con tutto il bisogno di sicurezza, prevenzione e affidabilità che la nostra società manifesta ogni giorno, non stupisce che il verbo "monitorare" abbia ottenuto un tale successo. Naturalmente, il suo costante uso non impedisce a un oggettino come una petroliera di finire nelle mani sbagliate ma, tranquilli, stiamo monitorando la situazione. Dovesse sparirne un’altra, saremmo i primi a dirvelo.

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