Secondo me

Da Robinson Crusoe in poi la figura del naufrago ha sempre affascinato. Il confronto solitario, puro e spietato di un uomo con la natura è forse la trama con meno dialoghi ma con più pathos che sia possibile raccontare. Non stupisce che i giornali abbiano raccontato in lungo e in largo la storia di José Alvarenga, il naufrago ricomparso dopo 14 mesi di navigazione alla deriva nell’Oceano Pacifico.

Ricongiunto al consesso umano, José ha potuto raccontare in tutti i dettagli come è riuscito a sopravvivere «mangiando pesci, uccelli e tartarughe» e bevendo la sua stessa urina. Una dieta durissima, alleviata solo dal fatto che, all’ora di cena, non correva il rischio di ritrovarsi sintonizzato con “L’eredità” di Carlo Conti. Il ritorno nel caldo abbraccio dell’umanità ha avuto per l’avventuroso messicano anche altre conseguenze, come quella di scoprirsi trasformato da naufrago a «presunto naufrago».

I media hanno infatti incominciato a mettere in dubbio il suo racconto, basandosi sul suo aspetto fisico un po’ troppo pasciuto e su alcuni dettagli che, nelle circostanze della scomparsa, sembrerebbero poco conformi al quadro generale. Ebbene, José avrà modo così di misurare la precisa differenza tra la vita solitaria e quella sociale, tra la condizione del naufrago e quella di membro della comunità.

Allontanato dagli altri uomini, il naufrago vive 24 ore al giorno a contatto con la realtà: la natura è reale, gli sforzi che deve fare per strapparle un poco di sostentamento sono reali, il sole, il freddo, la fame e la sete sono più che reali. Perfino le allucinazioni, sono allucinazioni “reali”: prodotto della sua mente e non della mente di altri. Al contrario, il rientro nella folla implica il contatto con opinioni, maldicenze, sospetti, chiacchiere, insinuazioni, teorie, allusioni, fraintendimenti e infine menzogne belle e buone. Nulla dà segno della presenza dell’uomo quanto la fatidica espressione: «Secondo me».

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