Sempre burattinai

Il quotidiano The Guardian ha dedicato un lungo, lunghissimo articolo a Donald Trump e Rupert Murdoch. Sappiamo tutti chi sono costoro: uno è il presidente degli Stati Uniti, mentre l’altro è potente sul serio.

Essendo un giornale progressista, The Guardian non ama Trump e Murdoch. Non li ama separatamente e non li ama insieme. I due infatti si conoscono bene e collaborano spesso.«Ciò che li unisce» dice il Guardian, «è l’amore per il potere». Secondo il quotidiano inglese, nella ricerca del potere medesimo i due si aiutano a vicenda. Per Murdoch, l’irruzione di Trump sulla scena politica è stata un toccasana: ha attirato grande attenzione sui media da lui controllati, in particolare su Fox News. Trump, dal canto suo, ha avuto a disposizione tutti i riflettori dei media suddetti, che lo avrebbero aiutato ad arrivare dove è arrivato: a essere più efficace di sempre tra i presidenti che hanno esercitato le loro funzioni tenendo in testa una nutria.

Detto dell’ostilità del Guardian - non del tutto disinteressata, probabilmente - viene in effetti da chiedersi di che cosa parlino i due quando si incontrano. Il discorso potrebbe addirittura distanziarsi dagli individui specifici e prendere una piega astratta. Quando tanto potere si incontra, che cosa potrà mai produrre? Possiamo forse immaginare che nelle conversazioni si parli di come far del bene all’umanità? O per forza, per necessità, a tale livello di coinvolgimento nella politica e nella finanza e con così ampia disponibilità di affermazione del proprio io, è inevitabile che si parli di nemici comuni, strategie, manipolazioni delle apparenze?

Il paradosso è dunque che i burattinai finiscono per essere legati al loro ruolo più dei burattini stessi i quali, quando non sono in scena, possono riposare nell’innocenza. I burattinai, no: pur nascosti devono continuare a esibirsi, a tenere in piedi l’illusione che ci impedisce di constatare come il loro tirare i fili non sia altro che uno spasmo.

 

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