Leggevo ieri il titolo comparso sotto la testata di un quotidiano nazionale - “Università: dieci anni da dimenticare” - e ho pensato: «Qualcuno mi sa dire con esattezza quante cose avrei dovuto dimenticare negli ultimi dieci, ma anche venti o trenta, anni?»
La domanda, si capisce, è assurda e anche un po’ stupida. Nessuno può catalogare «con esattezza» le cose dimenticate, perché altrimenti non le avrebbe dimenticate affatto. Ciò detto, vorrei però far notare che qui non si parla delle cose dimenticate e pertanto, salvo rare ma non impossibili riscosse della memoria, perdute per sempre. Si parla invece delle cose “da dimenticare”, ovvero quegli orrori ed errori, inadempienze e sciatterie che, con crescente frequenza, veniamo invitati a mettere da parte - come file nel cestino del computer: condannati ma non ancora distrutti - per poterli sostituire con pensieri speranzosi e idee costruttive. Abbiamo avuto governi da dimenticare. Stagioni da dimenticare. Calciatori da dimenticare. Qualcuno avrà avuto relazioni personali da dimenticare.
L’università di cui sopra è l’ultimo esempio di faccenda “da dimenticare”. Secondo il giornale, nell’ultimo decennio l’università italiana ha visto un susseguirsi di tagli alle risorse, è stata costretta a ridurre il personale ed ha goduto dell’attenzione dei media solo per «scandali e baroni». Tutto questo comporrebbe dieci anni da consegnare all’oblio. Io direi che, al contrario, sarebbero da tener ben presenti perché non c’è altro modo per evitare che i prossimi dieci procedano sullo stesso binario.
Ma si sa che “da dimenticare” è solo un’espressione e non va letta nel suo significato letterale. Semmai, è una scrollata di spalle della società che, dopo aver fallito in questo e quello, invece di impegnarsi a raccogliere le macerie dei suoi errori, preferisce, idealmente, ripartire da zero. Ed è curiosa anche questa, come espressione, perché, a furia di ripeterla, a furia di aggrapparvisi come a un mantra purificatore, non si riesce più a vedere l’ovvio: ripartendo in continuazione da zero, a zero sempre si rimane.
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