Si è parlato di «sessismo», qualche giorno fa, quando a una festa della Lega Salvini ha definito «sosia della Boldrini» una bambola gonfiabile. Se ne è parlato talmente tanto che quasi mi convincevo. Poi sono andato a leggermi la definizione di sessismo: «Atteggiamento di chi sostiene l’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile».
Non mi pare che ci siamo. Salvini ha detto e fatto una brutta cosa, paragonando una persona a un oggetto fabbricato per sfogare urgenze sessuali, un insulto che perfino in politica - dove ormai anche il rutto viene fatto passare per sonetto - non dovrebbe essere ammesso. Non parlerei però si sessismo o, se proprio si vuole insistere, allora direi che il sessismo salviniano, erede del gentile conversare da caserma, fa un gran rumore e un po’ di puzza, ma è facile da intercettare.
Molto più subdolo è il sessismo che un gruppo di ricercatori ha trovato analizzando nel dettaglio le sentenze emesse da giudici maschi in diversi casi di uxoricidio. L’analisi è stata effettuata in Australia, ossia molto lontano da noi, ma non c’è ragione di pensare che quel certo modo di pensare non sia diffuso da queste parti. Il sessismo è infatti una mentalità che può essere trasportata intatta a grande distanza.
Ma quale sarebbe il sessismo dei giudici australiani? Presto detto: nel valutare il profilo psicologico di uomini che hanno ucciso le mogli, i giudici sottolineano invariabilmente le «condizioni di stress» che avrebbero creato il presupposti del delitto, mentre nel caso contrario - mariti uccisi dalle mogli - viene indicata senza mezzi termini la «malvagità» delle donne a processo. Malvagità senza giustificazioni di stress, attenuanti di provocazioni, spiegazioni psicologiche e anche senza appelli a «condizioni» psicologiche particolari. La malvagità delle streghe, insomma, la cattiveria assoluta delle megere. Portata dritta in tribunale da tempi lontani e bui. Anche se non bui al punto da disporre di bambole gonfiabili.
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