Dai “Protocolli dei Savi di Sion”, e probabilmente anche da molto prima, la fabbricazione delle notizie false (e tendenziose: gli aggettivi sono inseparabili) è stata un affare lucroso. Tutto sommato, però, era un’operazione riservata a pochi: ai potenti, senza dubbio, e alle consorterie più attrezzate. Tutti gli altri dovevano accontentarsi del pettegolezzo, che della bufala è il fratello minore: un esercizio di malignità fatto in casa, propagato al mercato, e diffuso nei circoli locali. Un’arma pericolosa, beninteso, capacissima di distruggere intere reputazioni, ma di calibro insufficiente per chi voglia indirizzare le masse e, così facendo, manipolarle.
Oggi però i due strumenti si sono avvicinati, e grazie al web è possibile fare di una bufala un pettegolezzo e, molto peggio, di un pettegolezzo una bufala. Se in Italia ne abbiamo avuto chiari esempi durante la campagna elettorale referendaria, il colmo viene dall’America, dove a contribuire alla sconfitta di Hillary Clinton è intervenuta una bufala davvero incredibile.
In milioni di messaggi è circolata in Rete la notizia che una pizzeria di Washington, gestita da un dichiarato sostenitore democratico, fosse sede di una vasta organizzazione di pedofili. Il tutto a causa della foto - innocente - di un bambino scattata nel locale. A carico del pizzaiolo non c’è alcuna prova, non ci sono indagini e neppure un testimone si è fatto avanti. Eppure la bufala ha viaggiato indisturbata nel bel mezzo della campagna elettorale e ancora oggi alcuni testoni, divisi tra ottusità e malafede, insistono nel dire che è tutto vero.
«Un vicenda assurda - ha commentato sconsolato il pizzaiolo -. Sono arrivati a dare per certo che il losco traffico avvenisse nella cantina del locale. C’è però un dettaglio: la mia pizzeria non ha cantina».
Purtroppo a quanto si vede non basta la realtà a smentire una bufala insistente: se a qualcuno fa comodo che noi si abbia una cantina, non resta che chiuderci in solaio.
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