Senza faccia

Senza faccia

Non manca mai di stupirmi come questi articoli sembrino avere la facoltà di legarsi l’un l’altro alla maniera delle ciliegie d’estate. Ci sono giorni in cui affronto un tema e, giusto ventiquattro ore dopo, l’occhio mi cade su qualcosa - un articolo, un fatto di cui sono partecipe o spettatore, un pensiero indotto da un’associazione di idee - che mi consente di riprendere l’argomento quasi da dove l’avevo lasciato. Un esempio: ieri scrivevo di come, di fronte alla pomposità e alla verbosità delle nuove e vecchie sigle elettorali tutti noi dovremmo votare pensando alla facce, non alle parole, alle ghigne e non alle chiacchiere. Ed ecco che, oggi, mi capita di leggere uno studio dedicato alla prosopagnosia, ovvero quel difetto cognitivo che impedisce di riconoscere i lineamenti delle persone.

Gli individui colpiti da questa anomalia neurologica individuano qualsiasi cosa del loro passato e del loro presente - case, strade, auto -: tutto, tranne le facce di chi li circonda. Per loro, l’insieme occhi-naso-labbra - così vario, espressivo, mutevole e singolare - è una sorta di tavolozza bianca sulla quale la mente scivola priva di appigli. Mentre nel riconoscere un oggetto sono svelti come consiglieri regionali davanti a un modulo per il rimborso spese, di fronte a un volto amico essi annaspano perduti, e il sorriso della madre o la smorfia buffa del pargoletto, per loro, hanno il valore sentimentale di un ciottolo. Naturalmente, non sono in grado di afferrare il concetto di "volto noto": dovessero incontrare Mastella lo scambierebbero per un paracarro, errore peraltro più comune di quanto si pensi.

Chi non conosce la prosopagnosia fatica parecchio a concepire un mondo in cui gli oggetti hanno un valore e un’importanza uguale, se non superiore, a quello delle facce degli esseri umani. Eppure, basta pensarci un poco per scoprire che, ormai, di prosopagnosia soffriamo un po’ tutti.

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