Senza ombrello

Come sempre avviene in questi tremende, dolorose circostanze, le immagini della devastazione nelle Filippine hanno colpito i nostri cuori. A differenza del passato va detto però che, nei giorni precedenti al disastro, le immagini provenienti dai satelliti avrebbero dovuto colpire allo stesso modo le nostre menti.

Quelle fotografie scattate nello spazio, che sempre ammiriamo un poco spaventati per la loro capacità di sintetizzare, in pochi centimetri quadrati, l’intero mondo, dimostrando nel contempo, senza possibilità di replica, la piccolezza delle nostre contrade e la fragilità delle nostre città, mostravano qualche giorno fa, sul Pacifico, un vortice di dimensioni mai viste, uno spaventoso mulinello che sembrava in grado di risucchiare a suo piacimento, non solo le Filippine, ma una buona metà del globo terrestre.

L’enormità di quel tifone - denominato Haiyan - bastava a risolvere gli ormai decennali dibattiti sul cambiamento del tempo. Chiamatelo “global warming”, chiamatelo “ma che cosa diavolo sta succedendo?”, chiamatelo Giuseppe, il dubbio non c’è: il clima mostra i sintomi di cambiamenti che, se da un lato vengono misurati nell’ordine di frazioni di grado centigrado, dall’altro sono in grado di esprimersi con cataclismi mai visti.

Naturalmente, alla vista delle foto via satellite abbiamo reagito come sempre facciamo con le cose che arrivano dall’altra parte del mondo (a meno che non ci stiamo per andare in vacanza): un interesse marginale, la corda più bassa della curiosità, l’attenzione, addirittura il breve divertimento, con il quale si legge la rubrica “Forse non tutti sanno che” della Settimana Enigmistica.

I sentimenti veri, quelli tempestosi anche più di Hayan, le irritazioni sacrosante e i turbamenti irruenti, li riserviamo ancora alle pozzanghere domestiche, alle nebbie che intralciano il tabellone dell’aeroporto, alle raffiche che ribaltano la sdraio. Senza renderci conto che viviamo tutti sotto lo stesso cielo e nessuno di noi, più di altri, dispone di ombrello.

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