Senza riso

Senza riso

A volte i giornali non soddisfano le nostre curiosità. Al contrario, le alimentano. Non necessariamente è un male: stimolando il nostro interesse, ci invitano a cercare risposte, il che è sempre un esercizio utile. Capita però che questa reticenza sia soltanto irritante.
Ho letto in un giornale la storia di Samuel Sevin, diventato a 9 e 11 mesi «il più giovane maestro di scacchi nella storia degli Stati Uniti». Di per sé, una notizia interessante, ma l’aspetto che davvero mi ha incuriosito l’ho trovato in quattro parole: Samuel non ride mai. Perché? Per quale ragione un ragazzino arrivato, prima di chiunque altro, a una posizione come quella di «maestro» riconosciuto di un gioco nobile e complesso, non trova ragioni, neppure una, per concedersi una risata? L’articolo questo non lo diceva.
Anche qui: perché? Come si spiega questa reticenza? L’articolo abbondava di particolari sulla carriera scacchistica di Samuel. Il primo torneo, la prima vittoria, il paragone con Bobby Fisher. Nulla sulla sua refrattarietà al riso, se non una vaga allusione al fatto che, negli Usa, qualcuno giudica inopportuna l’ammissione dei giovanissimi tra i giocatori professionisti. Come se gli scacchi avessero privato Samuel dell’infanzia e, di conseguenza, del divertimento puro. O forse, tra re e pedoni, regine e alfieri, Samuel ha capito qualcosa del mondo che noi ancora non sappiamo: qualcosa che gli ha tolto il sorriso. Per nostra fortuna, non lo sapremo mai: comunque non dai giornali.

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