Senza sostanza

Senza sostanza

Una collega, oltre che amica, mi fa notare come, nella newsletter recentemente distribuita da una sezione locale della Cgil, ci si rivolga agli iscritti - e a tutti i lettori - con un guardingo «Care/i»: «Non più "care compagne, cari compagni" - mi scrive la collega - , ma "care/cari" virgola, perché non ci sono più i compagni e le compagne, le bandiere rosse le trionferanno, non c’è più niente e non c’è ancora niente».
Non si può darle torto, anche perché, come lei stessa credo voglia intendere, non è solo un problema di identità politica: è un problema di identità e basta. Ci tocca affrontarlo, per il buon motivo che ce lo meritiamo.
La comunicazione e i rapporti che da essa discendono sono modellati sulle necessità del marketing: primo, non sbilanciarsi. Niente "compagni" allora, perché altrimenti si escludono quelli che a definirsi tali non ci stanno. Ed escluderli non si può, visto che anche loro rappresentano una possibile, anche se teorica, fetta di pubblico: bisogna allora ingraziarseli con l’omissione, la genericità, la vaghezza. Nessuno che sia un potenziale cliente viene emarginato da una definizione netta, respinto da un recinto verbale, limitato da una orgogliosa scelta - giammai! - di campo.
Meglio, allora, "cari amici" o "cari lettori"; addirittura come fa la Cgil "cari" e basta. Una prudenza che, se non altro, ha un merito: la scomparsa del sostantivo ci fa riflettere sulla scomparsa della sostanza.

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