Penso alla Germania. Non per sensibilità nei confronti dello sconfitto ma perché mi viene spontanea una domanda: cosa si prova a essere consegnati sempre e comunque al ruolo del cattivo?
Se c'è una Nazione che il mondo ama battere è proprio la Germania. Lasciamo stare le ricorrenze belliche, troppo impegnative per un contesto come il presente, e riferiamoci soltanto alla cultura popolare, ai sentimenti spiccioli, al nazionalismo da cartolina. Il tedesco sembra appartenere al mondo come il “villain” appartiene al cinema: costruito per farsi sconfiggere all'ultima scena. Per tre quarti del film, il cattivo vince a mani basse e non si vede chi possa fermarlo. In realtà noi sappiamo benissimo che qualcuno c'è: quello che sembra meno portato all'impresa, quello che per scarsità dei mezzi e mancanza di disciplina si direbbe escluso da ogni chance di vittoria. Invece sarà proprio lui a trionfare, in una semifinale, pardon, in un finale che ribalta lo status quo e a sorpresa ridimensiona l'ostentata potenza del cattivo, la sua rocciosa organizzazione, la sua indistruttibile volontà.
Per qualche ragione, i tedeschi sembrano condannati a questo ruolo. Nel calcio, più che in ogni altro settore. Sono incapaci, per esempio, di imbastire un girone di qualificazione stentato come si deve. Niente sconfitte con la Macedonia e zero a zero con le Far Øer: no, loro partono alla grande, asfaltano tutto e tutti, stendono la Grecia e umiliano l'Olanda, consegnandosi così, inevitabilmente, alla nemesi. Prigionieri del solco lasciato dalla penna dello sceneggiatore, inseguono un binario che li condurrà malignamente di vittoria in vittoria in modo da rendere più esplosivo ed esaltante il loro annientamento finale.
Chissà cosa si prova a essere così. L'unica speranza, credo, è quella che si giri un sequel.
Se c'è una Nazione che il mondo ama battere è proprio la Germania. Lasciamo stare le ricorrenze belliche, troppo impegnative per un contesto come il presente, e riferiamoci soltanto alla cultura popolare, ai sentimenti spiccioli, al nazionalismo da cartolina. Il tedesco sembra appartenere al mondo come il “villain” appartiene al cinema: costruito per farsi sconfiggere all'ultima scena. Per tre quarti del film, il cattivo vince a mani basse e non si vede chi possa fermarlo. In realtà noi sappiamo benissimo che qualcuno c'è: quello che sembra meno portato all'impresa, quello che per scarsità dei mezzi e mancanza di disciplina si direbbe escluso da ogni chance di vittoria. Invece sarà proprio lui a trionfare, in una semifinale, pardon, in un finale che ribalta lo status quo e a sorpresa ridimensiona l'ostentata potenza del cattivo, la sua rocciosa organizzazione, la sua indistruttibile volontà.
Per qualche ragione, i tedeschi sembrano condannati a questo ruolo. Nel calcio, più che in ogni altro settore. Sono incapaci, per esempio, di imbastire un girone di qualificazione stentato come si deve. Niente sconfitte con la Macedonia e zero a zero con le Far Øer: no, loro partono alla grande, asfaltano tutto e tutti, stendono la Grecia e umiliano l'Olanda, consegnandosi così, inevitabilmente, alla nemesi. Prigionieri del solco lasciato dalla penna dello sceneggiatore, inseguono un binario che li condurrà malignamente di vittoria in vittoria in modo da rendere più esplosivo ed esaltante il loro annientamento finale.
Chissà cosa si prova a essere così. L'unica speranza, credo, è quella che si giri un sequel.
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