Si chiama umanità

Anche quando capitano cose brutte - come perdere un amico - non si è mai esentati dalle proprie responsabilità. Il dolore, per chi lavora, non è una scusa: bisogna continuare. È un obbligo, un impegno e a volte perfino una benvenuta distrazione.

Dunque, scrivendo queste righe non posso ritenermi affrancato dal dovere che esse rappresentano e dal compito che vorrebbero, nel loro piccolo, ogni giorno, svolgere. Come passare qualche informazione interessante, per esempio, o anche offrire uno spunto di riflessione. A me piace pensare che questa rubrica abbia poi lo scopo ultimo di tentare, con modestia, di tessere un filo d’umanità tra chi la scrive e chi la legge: a beneficio di entrambi e per farci coraggio, come scriveva uno storico direttore di questa testata.

È per questo che, oggi, lo scopo di quest’angolino potrebbe proprio risiedere nel raccontare l’angoscia di un’assenza, il rimpianto, così banale ma anche così vero, per l’affetto che a volte si è trattenuto e che ora si vorrebbe invece aver espresso senza riserve. Diventa anche impellente descrivere il sentimento di vicinanza, improvvisamente intenso, che ci lega a chi rimane, lo sguardo finalmente più consapevole che rivolgiamo agli amici e alle persone care della nostra vita: a paragone del vuoto che sgomenta, risalta evidente - e anche bellissima - l’importanza che tutti costoro hanno per noi, la necessità della loro presenza, il potere di costante remissione del loro affetto.

Questo anche nella consapevolezza che, presto, l’ottica distorta attraverso la quale insistiamo nel guardare le nostre vite tornerà a prevalere: banali seccature proietteranno ombre gigantesche, meschini risentimenti invaderanno, per controllarle, le nostre facoltà e tutto ciò che è trascurabile, banale e stupido tornerà a essere primaria ragione di vita. Ebbene, resistere a questo scivolamento è ciò che chiamiamo, a volte senza rendercene conto, umanità.

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