Mentre il mondo, scientifico e non, ancora non riesce a venire a capo del Covid, i laboratori non smettono di diffondere speranza.
«Entro il 2030 - si legge un una speranzosissima nota pubblicata ieri dall’agenzia Ansa - potremo avere il nostro genoma a portata di mano sullo smartphone, insieme a tutte le informazioni utili per interpretarlo in relazione alla nostra salute: è questa la più affascinante delle dieci “previsioni ardite” che gli esperti dell’Istituto americano per la ricerca sul genoma umano (Nhgri) fanno su “Nature”, nel documento con cui delineano la nuova visione strategica dell’ente e le priorità che guideranno la ricerca nel campo della genomica nel prossimo decennio».
Non vorrei ostacolare l’ardimento con cui questa previsione, così come molte altre, è stata presentata al pubblico, ma non posso trattenermi dall’osservare come nel pubblico medesimo, del quale mi dichiaro comune rappresentante, queste cose si leggano ormai con un certo distacco. In realtà, di fronte a una notizia positiva, o quantomeno promettente, è difficile trattenere un sussulto di speranza: siamo oppressi a tal punto da informazioni negative o comunque dedicate a pericoli presenti e potenziali, che la nostra psiche assorbe come unguento ogni parola di senso opposto, senza star troppo a guardare se ben misurata o aleatoria. E tuttavia se facciamo mente locale dobbiamo purtroppo riconoscere come tanti bollettini di vittoria, cantati dalla scienza e dalla politica, dalla tecnologia e dall’economia, rimangano lettera morta.
Questo accade non perché la scienza e la tecnologia, e in fondo neppure la politica e l’economia, non approdino mai a nulla, tutt’altro, ma perché il concetto di “previsione” si scontra con la natura stessa dell’esistente. Non vorrei buttarla in filosofia, e neppure ne sarei capace: mi limiterò a dire che quando le varianti in gioco sono tante - e lo sono anche in eventi in apparenza semplici - ogni previsione si riduce di fatto a una scommessa, un lancio di moneta, un pronostico al bar.
Comunque, coccoliamoci pure con l’idea che in una decina d’anni il nostro genoma, ovvero il nostro completo e individuale “software” biologico, sarà comodamente copiato sul telefonino, a disposizione per tutte le necessarie valutazioni relative al nostro stato di salute. Comparirà forse come una app tra Facebook e WhatsApp, tra Calm e Google Maps. Oppure si tratterà di tutt’altra cosa, perché anche la scienza non sa cosa troverà lungo la strada che va aprendo mentre la percorre. È il bello e il brutto dell’esistenza: pone delle sfide e non anticipa alcuna risposta. Questo ci esalta e ci spaventa, ci sprona e ci atterrisce. Intanto, però, per far spazio al genoma io ancora non me la sento di cancellare Pac-Man.
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