Siamo distrutti

Per felice abitudine tratto le sparate di campagna elettorale esattamente come quei volantini pubblicitari che si trovano infilati giù per la gola della cassetta postale: un breve fastidio durante la rimozione, il tuffo nel cestino (meglio: nel contenitore del riciclo) e il pensiero è cancellato per sempre. Ovvero, fino al prossimo volantino.

Da un punto di vista della comunicazione sociale, per così dire, le baruffe pre-elezioni sono però interessanti. Un rapido inventario delle espressioni usate fino a oggi comprende «assassino», «gnocco fritto», «Hitler», «Stalin», «ebetino», «pover’uomo», «carogna», «sciacallo», «pagliacci e buffoni», «cessi da allargare», «alter ego di Mengele».

L’elenco di cui sopra offre un’idea del tono generale della campagna ma, tutto sommato, gli insulti non denunciano appieno la carica di faziosità implicita in questo periodo politico, inutile e improduttivo come pochi. Un insulto è un insulto: ovvero un proiettile scagliato un po’ alla disperata contro il nemico. Non pretende di essere altro e dichiara, con il suo scurrile fragore, tutta l’immaturità che lo distingue.

Ben più subdolo è il tentativo, molto frequente in questi giorni, di far credere di aver prevalso in una discussione, di aver vinto un confronto e di aver importo un’idea «giusta» su una «sbagliata» quando ciò non è vero o quantomeno è fortemente discutibile.

La Rete è piena in questi giorni di video condivisi sui social network in cui il rappresentante di un partito o di un movimento «distrugge» - così dice la didascalia esplicativa - il rappresentante di un movimento o di un partito avversario. Ieri mi sono passate sotto gli occhi offerte di video nei quali «Marine Le Pen distrugge la Gruber», «Di Battista distrugge il Pd», «Grillo distrugge Telese» e persino «Myrta Merlino distrugge la Picierno». Nient’altro che estratti di baruffe dove nessuno distrugge nessuno se non, evidentemente, il senso critico di molti di noi.

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