Siamo nei guai

Siamo nei guai

Mettiamola così: attraversiamo tempi difficili. Che cosa si dovrebbe fare in tempi difficili? Prendere decisioni  impopolari. Chi è il meno adatto a prendere decisioni impopolari? Un politico. La ragione è evidente: la politica è legata al consenso e il consenso, una volta che ci si prenda la responsabilità di decisioni scomode, se ne va senza voltarsi indietro. Come spiegava un diplomatico a un ministro: «La diplomazia è l’arte di sopravvivere fino al prossimo secolo; la politica è l’arte di sopravvivere fino a venerdì pomeriggio».

I più adatti a prendere decisioni impopolari sono dunque i non-politici. Avanti i tecnici, quindi, dentro gli esperti. Quelli che, finito il lavoro, se ne tornano a casa senza presentarsi alle elezioni.

Bene, allora. Sospendiamo i politici - troppo volubili  - e puntiamo sui tecnici, indifferenti al consenso e alla popolarità. Siamo d’accordo? Non proprio, visto che siamo in democrazia, e la democrazia è un principio. Tale principio affida il governo agli eletti dal popolo e i politici, non i tecnici, sono gli eletti dal popolo. Sospendere un principio quando diventa difficile da applicare rappresenta la più profonda contraddizione possibile. I principi vanno salvaguardati proprio quando è dura sostenerli: chiunque sa essere eroico o virtuoso in assenza di pericoli e tentazioni. Dunque niente tecnici ma un politico. Che sappia prendere decisioni scomode rinunciando, per il bene di tutti, a un tornaconto di popolarità.

Siamo nei guai.

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