Sic e non sic

Sic e non sic

«Sic transit gloria mundi» ha detto Berlusconi a commento della sanguinolenta fine di Gheddafi. «Sic transit gloria mundi» ha ripetuto, un po’ perché il latino vien sempre bene in fotografia e un po’ perché è vero: la «gloria mundi», gli antichi ce lo insegnano, «transit» che è un piacere; si potrebbe dire che «transit» come un aereo nel cielo, lasciando di sé soltanto una coda di impalpabile vapore.

Questa dell’aereo è una similitudine che gli antichi non potevano permettersi, eppure il loro detto «sic transit gloria mundi» ha resistito all’usura dei secoli ed è stato proprio lui, e non una metafora aeronautica di nuovo conio, a fiorire sulle labbra del premier. Chissà, forse la ragione sta nel fatto che, ben più di noi, gli antichi dovevano confrontarsi con i limiti della condizione umana: la mortalità, la transitorietà della giovinezza, l’intrinseca provvisorietà delle imprese terrene. E i loro detti, forgiati dalla cruda esperienza, sono rimasti: non solo «sic transit gloria mundi», ma anche «in nihil ab nihilo quam cito recidimus» («nel nulla dal nulla presto ricadiamo») e «ruit hora» («il tempo fugge») tanto per far sfoggio di citazioni.

Difficile dire se la nostra epoca lascerà ai posteri frasi di commensurabile efficacia e saggezza. Forse no, perché la fugacità della vita è oggi negata e viene combattuta con ogni mezzo alimenti l’illusione di perpetuare l’esperienza terrena. Come a dire: «Sic transit gloria mundi per lui, ma noi con un paio di Scilipoti, qualche nuovo sottosegretario e un lifting tiriamo avanti fino al 2013».

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