Signora in attesa

Da mesi, ormai, la signora Malinpeggio si è piazzata su una panchina comunale e rifiuta di lasciare la posizione. Non che abbia preso residenza permanente sulla panchina suddetta: la sera, dopo il tramonto, rientra a casa. Ha i gatti - sette in tutto - da sfamare. Il resto della giornata però lo trascorre all’aperto, che piova o splenda il sole, e tanta ostinazione sta sollevando, a sentire le autorità comunali, un problema «non secondario» di ordine pubblico. Dapprima è stato mandato in perlustrazione un messo: suo compito era far presente alla signora - «con severità» - che la panchina, in quanto comunale, era da ritenersi di proprietà comune e destinata pertanto all’uso di più persone.

La giunta comunale ha seguito a distanza l’intera operazione. Il messo si è avvicinato alla signora, ma lei non ha dato cenno di aver riconosciuto la sua presenza. Il messo, allora, ha borbottato qualche parola agitando un dito ammonitore. Senza alzare la testa, la signora a sua volta ha borbottato qualcosa. Il messo è scoppiato a piangere.

A questo punto, il sindaco in persona ha voluto prendere in mano la situazione: «Qui serve mano ferma» ha dichiarato alla stampa (leggi: il sottoscritto). Si è dunque cinto della fascia tricolore e, a lunghi passi, ha attraversato la piazza. Lo si è visto sbracciarsi e infine alzare la voce: «La prego di sgombrare, altrimenti sarò costretto a prendere seri provvedimenti». La signora ha replicato con un discorsetto di cui, a distanza, si è afferrato poco, se non che in esso il sindaco era citato come “Dottor Sette-per-Cento”. Il primo cittadino ha fatto retromarcia informando il pubblico che, tutto sommato, per quel giorno era «meglio soprassedere».

A folla dispersa e senza clamori ho voluto fare anch’io un tentativo. «Buonasera signora» ho detto, «non si arrabbi se le faccio una domanda. Perché non se ne vuole andare?»

«Perché sto aspettando».

«Che cosa?»

La signora mi ha fatto posto sulla panchina: «La Ripresa» ha bisbigliato.

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