I luoghi malfamati, detti anche “bassifondi” hanno sempre avuto un fascino tutto particolare. Nei romanzi se ne trovano di straordinari: la Londra di Dickens, per esempio, ne offre di vivissimi e sorprendenti. Ma non si ricordano solo i bassifondi letterari: anche quelli reali hanno a lungo esercitato un’attrazione spesso irresistibile. Quanti turisti appena un poco ardimentosi si sono avventurati in vicoli poco raccomandabili, lungo boulevard infestati da tagliagole e in bettole di infimo ordine solo per poter dire, a casa, «io ci sono stato».
Oggi, purtroppo o per fortuna lo lascio decidere a voi, ci troviamo nell’urgenza di dover annunciare la fine dei bassifondi. Quelle strade di perdizione, ben note e circoscritte, non ci sono più, almeno non in Europa, e non per mancanza di perdizione, piuttosto per mancanza di strade da dedicare specificamente al vizio.
In questi giorni un poco vaghi e senza sapore ogni angolo può essere un luogo malfamato e quasi certamente lo è, ma manca di quel segno, di quella cicatrice se vogliamo, che lo identifica e, perdonate la blasfemia, lo battezza come tale. Con la sola eccezione dell’emiciclo di Montecitorio, luogo nel quale nessun cittadino degno di questo nome si farebbe sorprendere a transitare, non esistono più aree del tutto viziose così come non esistono più zone del tutto rispettabili.
Viviamo in una vischiosa palude di mediocrità e di volgarità: tutti ne abbiamo le scarpe imbrattate e se vogliamo vivere, ovvero lavorare, divertirci, resistere alla noia e, quando capita, ricacciare la disperazione nel buco, bisogna rassegnarsi. Si è tentati di sperare che la situazione di grigiore generalizzato possa contribuire a cancellare buona parte della doppiezza sociale: niente più vizi notturni e virtù diurne, strade proibite a mezzanotte e viali borghesi a mezzogiorno, convegni clandestini nel quartiere malfamato e famigliola innocente in quello benestante. E invece no: della grande stagione dei bassifondi è rimasta in voga solo lei, l’ipocrisia.
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