Se non brilla per sobrietà, l’immagine risalta certo per ardimento: una guglia altissima, in materiale «ultraleggero», dalla cui sommità si lancia, «a raggiungere il cielo», un raggio di luce concentrata.
È questa una delle proposte avanzate dai maggiori studi d’architettura mondiali per la ricostruzione del tetto e della guglia della cattedrale parigina di Notre Dame, distrutti dall’incendio divampato il 15 aprile scorso (ma, nella nostra memoria di pesci rossi, all’apparenza almeno un secolo fa).
Altre proposte prevedono la realizzazione, sulla sommità della chiesa, di una grande serra, ovviamente tutta a vetri, oppure di una copertura ondulata, come si immaginerebbe sovrastare una vasta struttura espositiva, o anche il terminal di un aeroporto.
Ancora, ed è la soluzione italiana, avanzata dallo Studio Fuskas, i rinnovati tetto e guglia, riproposti nella forma del pre-esistente stile gotico, avrebbero però la capacità, nottetempo, di illuminarsi interamente, in modo da rappresentare un costante punto di riferimento della città e, nello stesso tempo, «alludere simbolicamente alla fragilità della Storia e della spiritualità».
Uno studio brasiliano propone invece di valorizzare le celebri vetrate colorate: al calar della sera, il tetto e la guglia riprodurrebbero, come in un gigantesco caleidoscopio sacro, le figure oggi visibili all’interno dell’edificio solo quando “trafitte” dalla luce solare.
Sbaglierò, ma credo che molti di noi saranno rimasti perplessi di fronte all’inventiva dell’architettura moderna, al suo campionario di vetri temperati, leghe leggere, strutture filiformi e progettualità concettuale. Chiunque abbia vissuto l’incendio come una sfregio alla storia dell’arte, avrà forse anche sentito mordicchiare nella coscienza un vago sentimento di inadeguatezza della nostra epoca nel conservare i tesori del passato. In realtà, in passato si conservava molto peggio di come si conserva oggi e, quando si ricostruiva, non c’erano scrupoli filologici che tenessero: al contrario, sulle rovine di vecchie ambizioni spirituali e temporali crescevano i muri maestri di nuove ambizioni spirituali e temporali.
Se è vero che, come credo, la maggioranza di noi, ai progetti degli attuali architetti preferirebbe una ricostruzione pietra per pietra e trave per trave del pre-esistente, ovvero dell’esistente fino al 14 aprile 2019, la ragione, probabilmente, è che intuiamo come la modernità abbia perso ambizioni a rappresentare in modo originale la spiritualità, affrontare il tempo e prenotare il futuro. Personalmente, il sospetto mi ha colto quando, per ritrovare la data esatta di questo evento, storico eppure recentissimo, ho dovuto affidarmi a Google.
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