Spendere e spandere

Spendere e spandere

Difficile ricordare chi, in ordine di tempo, sia stato l'ultimo a dirlo. Poco importa: sono così tanti ad averne fatto uso che si confondono, si mescolano, si sovrappongono. In questi giorni, poi, non si fa altro che ripeterlo.

Il riferimento, per essere chiari, è all'espressione “spendere e spandere”. «Qui in Europa» si insiste, «non possiamo a continuare a spendere e spandere come se nulla fosse». Altri sottolineano come sia «finito il tempo in cui gli Stati potevano spendere e spandere». C'è poi chi invita severamente il popolo a controllare meglio l'economia domestica: «La crisi» sentiamo ammonire, «costringerà tutti a un regime di vita più sobrio. Altro che spendere e spandere».

Niente di strano se non fosse che, a pensarci bene, l'espressione è almeno parzialmente oscura. Facile capire la necessità di trattenersi dallo “spendere”. Ma dallo “spandere”? Perché un'azione innocente, e a volte necessaria, come quella dello “spandere”, dev'essere oggi biasimata,  censurata, ostacolata, a causa di un'assonanza, del tutto casuale, con il verbo “spendere”? Possiamo ben intuire i vantaggi che la collettività ricaverebbe dal limitarsi nello “spendere”; viene però da chiedersi che cosa i governi ci ricavino dal costringerci a non “spandere”. A ben vedere, “spandere” potrebbe essere un'alternativa indolore, un'efficace distrazione allo “spendere”. «Ehi, voi» si potrebbe gridare ai funzionari di un Ente sciupone, «piantatela di spendere e andate piuttosto a spandere!»

© RIPRODUZIONE RISERVATA