Spiegazioni

Spiegazioni

Voglio credere che lo abbia fatto spinta dal sincero desiderio di spiegarsi e di spiegare, più che dalla tentazione di concedere un premio alla sua vanità. Sta di fatto che, nei giorni scorsi, il ministro del Lavoro Elsa Fornero è comparsa ovunque ci fosse una telecamera.

La ragione è persino ovvia: si discute di una profonda riforma del lavoro e dunque non si vede a chi altro i cronisti debbano porgere il microfono se non all’apposito ministro. Lei, però, la professoressa Fornero, non aveva l’aria di chi è costretta a far mostra di sé, di chi preferirebbe essere altrove piuttosto che davanti a una telecamera e di chi, apparendo in pubblico, a fatica maschera imbarazzo. Se non compiacimento, c’era in lei una convinta disinvoltura.

Poco male. Anzi, nessun male se l’onnipresenza televisiva del ministro è servita a meglio definire presso il pubblico i contorni di una riforma senz’altro importante. Ma è così? Parlare in televisione serve a far capire? Se no: a che cosa serve?

Temo che anni di Marzullo e, addirittura, decenni di Biscardi non possano che portarci a riconoscere un’amara verità: parlare in tv serve a tutto, tranne che a spiegare. Serve a imporre una voce, una sensazione, un frammento di verità, un assaggio di contesto. Serve a indurre familiarità e a diffondere, come farebbe uno di quei diffusori che si mettono in bagno, una certa artificiale fragranza di fiducia. Per capire, bisogna togliere di mezzo l’immagine: è sotto di essa, infatti, che giace sempre il contenuto.

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