Spingere a campare

Spingere a campare

Dice il premier Mario Monti: «In Italia bisogna smetterla di tirare a campare». Il popolo, muto, annuisce: su tante cose, ormai, non è d’accordo con il premier ma su questa, presa così com’è, nessuno ha da obiettare.

Piacerebbe molto, agli italiani, smetterla di tirare a campare. Nell’espressione, infatti, c’è un che di esausto, di avvilente e di interminabile che fa desiderare di liberarsene il più presto possibile. Il problema, per tutti noi, è che pur desiderando smettere di tirare a campare, non abbiamo chiara l’alternativa. Come vivono infatti quei popoli che non tirano a campare? Nessuno ne ha idea.

Forse si potrebbe mandare qualche emissario all’estero a visitare quei Paesi dove non si tira a campare. Personalmente, devo ammettere che dovessi raccontare la giornata di uno che non tira a campare non saprei farlo.

Azzardo qualche ipotesi. Rispetto all’individuo che tira a campare, quello che non tira a campare sarà certamente dotato di molte più certezze. Tirare a campare implica una costante situazione di incertezza, di precarietà. Di conseguenza, possiamo pensare che per chi non tira a campare sia vero il contrario: ogni cosa è solida, definita, immutabile e sostanzialmente indistruttibile. L’uomo che non tira a campare, campa e basta: dispone di tutto ciò che gli occorre e in abbondanza, non ha necessità di procrastinare, di aggiustare, di arrangiare. Se qualcosa dovesse andargli storto, l’uomo che non tira a campare, per definizione, non tira a campare: elimina subito il problema affrontandolo di petto, investendolo con tutta la sua forza risolutrice. Si potrebbe dire che l’uomo che non tira a campare è piuttosto un uomo che spinge a campare. Il che, come le righe di oggi dimostrano per l’ennesima volta, lo rende molto diverso dall’autore di questa rubrica.

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