Stretta di meno

Stretta di meno

Tutti noi ogni giorno eseguiamo gesti convenzionali senza più chiederci quale significato abbiano. Sono codici? Segni di riconoscimento? Semplici abitudini stinte? La stretta di mano, per esempio, è un gesto che mi è sempre piaciuto. Forse perché ho l’idea che trasmetta, insieme, calore e compostezza; un miscuglio di arrendevole cordialità e di signorile autocontrollo. Ma quanto tutto ciò risponde al vero? La stretta di mano è ancora un gesto significativo o è solo un’esigenza di scena, utile a rappresentare la cordialità piuttosto che segnalarne l’effettiva presenza?
All’interrogativo hanno cercato di dare risposta un paio di mattacchioni dell’Università dell’Oregon. Costoro hanno voluto capire quanto la stretta di mano dice di noi stessi, quanto è utile a formare una prima impressione e quanto questa impressione corrisponde alla realtà. Risultato: fatta eccezione per i temperamenti estroversi (identificabili dalle fratture scomposte che provocano nell’interlocutore), altre informazioni accurate la stretta di mano non ne trasmette. Il timore è che sia ridotta a un riflesso condizionato, futile, privo di pensiero e di calore: un po’ come l’espressione di Sua Altezza il principe Emanuele Filiberto. Peccato: detesto pensare che con l’idea della stretta di mano se ne vada anche l’illusione di un succinto accordo stipulato tra gentiluomini e gentildonne, un breve patto di reciproco riguardo. Ma tant’è: a ogni epoca evidentemente spetta la convezione più appropriata. Alla nostra, forse, nulla si adatta meglio della pacca sul sedere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA