Sveglia! Non dicevo a voi, scusate. Non mi permetterei mai di aggirarmi per questa rubrica berciando come un caporalmaggiore alle sei e mezzo del mattino. Piuttosto, mi premeva di portare alla vostra attenzione il nuovo oggetto contundente della polemica, soprattutto online: la seconda persona singolare dell’imperativo di “svegliare”.
Di sicuro ci avrete fatto caso: da qualche tempo tutti intimano a tutti di “svegliarsi”. Un modo spiccio di sottolineare l’inettitudine altrui e, per contrasto, alludere a una propria - del tutto presunta - tempestività, a un’energia e a una risolutezza che, attraverso la squillante ingiunzione, si vorrebbero proporre come esempio al prossimo, vittima, senza dubbio, di un letargismo nocivo, in particolare, alla cosa pubblica.
A differenza di quanto avveniva in caserma, lo “sveglia!” attuale - di larghissimo uso su Facebook e Twitter - viene rivolto dal basso verso l’alto nella scala delle responsabilità politiche e amministrative. I comuni cittadini lo indirizzano a tutti - ai consiglieri regionali, ai parlamentari e, naturalmente, al governo - ma d’istinto il primo bersaglio è spesso il sindaco. Chi invece appartiene agli “eletti”, o comunque si dedica alla politica attiva, lo spara dritto all’avversario, specie quando così facendo può scaricargli la colpa di un problema irrisolto: il sindaco “sveglierà” il presidente della Regione, quest’ultimo scuoterà il governo e il governo pretenderà che l’Europa salti giù dal letto ancora con la papalina in testa. Immagino che qualcuno, prima o poi, vorrà gridare “sveglia!” all’orecchio di Dio ma forse c’è ancora timore che Lui replichi con un sacrosanto pedatone nel culo.
Noi, invece, non abbiamo scelta: “sveglia!” fa ormai parte del ciarpame lessicale che alimenta, non il dibattito, ma il continuo latrato polemico che fa da inutile quanto molesta colonna sonora delle nostre giornate. Servirà forse tener presente che l’espressione, come qui intesa, denuncia inevitabilmente la pigrizia della coscienza di chi la usa.
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