Tanta paura

Tanta paura

Non è affatto probabile che vi ricordiate di tale Richard Reid. Dovreste, perché egli è la ragione per cui, da dodici anni a questa parte, negli aeroporti ci viene chiesto di toglierci le scarpe. Il suo tentativo di imbarcarsi su un volo con un certo quantitativo di esplosivo nascosto nei tacchi allarmò tutti gli scali del mondo e spalmò nelle nostre teste l’ennesimo strato di paura.

Come notano sempre più osservatori, le paure sono diventate innumerevoli: paura del terrorismo, naturalmente, delle malattie, della crisi, degli incidenti domestici e non, della criminalità, degli stranieri, dei fascisti, dei comunisti e, nel mio caso, anche un personalissimo terrore che, prima o poi, mi possa piacere un brano di Gigi D’Alessio. Paure su paure, insomma: è possibile l’uomo contemporaneo sia il più spaventato di tutti i tempi. Non possiamo saperlo per certo: con sicurezza possiamo però affermare che mai l’uomo si è aggrappato con altrettanta ossessione al bisogno di sentirsi sicuro, alimentando una serie di abitudini, precauzioni, riti e, se così si può dire, scongiuri scientifici e tecnologici, mai visti al mondo e, terribile ironia, molto spesso inefficaci o controproducenti.

Una recente analisi dei volumi di traffico aereo e stradale ha concluso che, specie negli Usa, la maniacale e prolungata attenzione con cui vengono eseguiti i controlli negli aeroporti induce sempre più persone a viaggiare in auto. Risultato: molti più incidenti stradali con esito mortale. Le vite salvate, forse, in volo sono certamente perdute sulla strada.

Molti sono gli esempi di precauzioni controproducenti. Fenomeni di paranoia sociale che hanno indotto un sociologo a osservare come «più cerchiamo di evitare la sofferenza più soffriamo, perché anche le cose più insignificanti incominciano a disturbarci in proporzione alla nostra crescente paura di essere feriti». Io dico che potrebbe aver ragione. Anzi, per essere coerente, preciso: ho paura che abbia ragione.

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